Le modalità di pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza che, al pari della quantificazione del corrispettivo, è lasciata dal legislatore all’autonomia delle parti, sono un tema ampiamente discusso in giurisprudenza e dottrina. E’ soprattutto discussa (e consentita solo a determinate condizioni) la facoltà per il datore di lavoro di corrispondere detto corrispettivo nel corso del rapporto di lavoro.
In base ad un rigoroso orientamento giurisprudenziale, il pagamento del corrispettivo per il patto di non concorrenza durante il rapporto è sempre e comunque illegittima. Le parti, infatti, non sanno quanto tempo durerà il rapporto di lavoro e dunque il dipendente, quando firma il patto di non concorrenza, non può sapere quale sarà l’importo del corrispettivo che riceverà posto che questo ammontare dipendente da un elemento indefinito e, cioè, la durata del contratto (Trib. Milano 06.05.2015; Trib. Milano 28.09.2010; Trib. Ascoli Piceno 22.10.2010; Trib. Milano 04.03.2009).
Un altro orientamento afferma che pagare il corrispettivo per il patto di non concorrenza è sempre legittimo ma alla fine del rapporto occorrerà fare i conti di quanti soldi sono stati pagati come prezzo del patto per vedere se la somma pagata complessivamente è congrua (Trib. Roma 11.04.2016; Trib. Roma 05.06.2015; Trib. Verona 05.01.2015; Trib. Milano 02.04.2015; Trib. Torino 21.07.2015; Trib. Milano 03.05.2013).
L’attuale prevalente orientamento della giurisprudenza pone come condizioni di legittimità del pagamento del corrispettivo del patto nel corso del rapporto di lavoro (a pena di nullità del patto stesso), da una parte, che la quota periodica (normalmente mensile) versata a titolo di corrispettivo del patto debba essere scorporata dalla retribuzione ed evidenziata in busta paga e, dall’altra, che tale corrispettivo consista comunque in un importo complessivo determinato o determinabile al momento della stipula del patto. Nel caso di rapporto a tempo indeterminato, tale requisito non è certamente rispettato se il corrispettivo viene pagato in quote fisse mensili, posto che al momento della stipula è impossibile stabilirne l’esatto ammontare. Stante quanto precede, laddove si intenda versare il corrispettivo del patto in costanza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato evitandone l’indeterminatezza, occorre prevedere un tetto minimo del corrispettivo che risponda nel caso specifico al criterio della “congruità” e pattuire che l’eventuale quota di tale tetto minimo di corrispettivo non ancora versata al momento della cessazione del rapporto di lavoro venga corrisposta al lavoratore in seguito ad essa.
Se niente di tutto ciò è previsto nel patto questo può dirsi certamente nullo.
Avv. Aida De Luca