La Corte di Cassazione è tornata a ribadire con l’ordinanza n. 7753 del 8 aprile 2020 che non può essere applicato, nei sinistri stradali, alcun automatismo tra il danno biologico permanente e quello morale. Nella fattispecie la Compagnia assicurativa era stata condannata a liquidare un’ulteriore somma a titolo di danno morale per la lesione del rachide cervicale, patologia di difficile rilevabilità clinica, ed in assenza di qualsiasi prova specifica. La Cassazione, a conferma dell’orientamento oramai consolidato sul punto, ha affermato che il danno morale va specificatamente allegato e provato anche sulla base di presunzioni senza, però, alcuna elusione dell’onere probatorio e assertivo e senza che “si traducano in automatismi che finiscano per determinare (anche) un’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella legale”.
La Sentenza in commento è interessante anche per quanto riguarda il rigetto dell’argomentazione fatta propria da tutte le Compagnie ovvero che in assenza di un positivo riscontro strumentale la lesione da rachide cervicale vada negata. La questione si inserisce in un più ampio dibattito sorto a seguito dell’emanazione del decreto legge n. 1/2012 che stabiliva la risarcibilità del danno permanente solo in presenza di un “accertamento clinico strumentale obiettivo”, ovvero, come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 235/2014 e con l’ordinanza numero 242/2015, di un documento diagnostico per immagini. La posizione della Cassazione, prendendo le distanze dalla Consulta e dalle Compagnie che ovviamente avevano avvalorato tale interpretazione, ha sempre rafforzato il ruolo del medico e la sua abilità di comprendere in quali casi la diagnosi strumentale non può essere evitata. Difatti, la Corte di Cassazione anche nella sentenza in commento ha affermato che nonostante la lesione da rachide cervicale non è attestata come tale direttamente da un referto la presenza è stata accertata con sicurezza dal CTU sulla base di diversi rilievi clinici e peraltro, nel caso specifico, attraverso il supporto di esami strumentali tra cui la radiografia del rachide cervicale e lombosacrale, e l’ecografia della spalla sinistra.
Questa sentenza si inserisce nella scia di precedenti pronunce (n. 10816/2019; n. 10819/2019; n. 18773/2016) nelle quali la Cassazione aveva già precisato che la prova rigorosa delle lesioni micro-permanenti non deve essere fornita necessariamente con gli esami diagnostici strumentali in quanto ci sono patologie che possono essere rilevate solo e anche con una semplice visita medica. Secondo la Corte dalla lettura degli artt. 138, 139 del Codice delle Assicurazioni e 32 (comma 3 quater) della L. n. 27/2012 si deve evincere che l’accertamento medico-legale di tipo visivo e quello clinico strumentale non sono né subordinati uno all’altro né devono essere esperiti congiuntamente, quanto piuttosto utilizzati secondo le “leges artis“ in quanto capaci di condurre a un’indagine obbiettiva delle lesioni e degli eventuali postumi residui. Per cui non si può affermare che una lesione di lieve entità non esiste solo perché non documentata dal referto per immagini “sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell’invalidità permanente ad una verifica di natura strumentale.”. Infatti sono possibili casi in cui si può giungere ad una diagnosi attendibileanche senza ricorrere a detti accertamenti, tenuto conto del ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dello specialista. È il medico legale che in sede di accertamento è libero di individuare di quali strumenti ha bisogno per valutare un danno e di utilizzare, quindi, strumenti anche diversi dai soli referti per immagini.
Avv. Aida De Luca