Le Sezioni Unite della Suprema Corte chiariscono i termini della risacriciblità del danno da mancato godimento dell’immobile per l’occupazione senza titolo. Il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento (diretto o indiretto) che è andata perduta, liquidabile anche in via equitativa, ricorrendo anche al valore locativo. Il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito (quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo piu’ conveniente di quello di mercato).
In precedenza, avevamo già commentato su questo sito la giurisprudenza di legittimità secondo cui tale danno non poteva considerasi in re ipsa.
I fatti di causa: l’occupazione senza titolo di un immobile da parte di un terzo e la richiesta di risarcimento avanzata dal proprietario.
Una società convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Tempio Pausania un condominio, allegando:
- di essere proprietaria di numerose porzioni immobiliari al suo interno;
- di avere venduto molte delle unita’ immobiliari ivi realizzate e
- che tra i singoli acquirenti era stato costituito il condominio convenuto;
- di avere conservato la proprieta’ di aree, escluse dalla vendita, circostanti le singole unita’ immobiliari;
- che il condominio, con una serie di condotte integranti turbative, aveva impedito all’attrice di vendere le aree.
L’attrice chiese quindi:
- l’accertamento del diritto di proprieta’ ai sensi dell’articolo 948 c.c., sulle suddette aree, con ordine di rilascio delle stesse
- la condanna al risarcimento del danno, sul presupposto che le condotte del condominio costituissero “causa di un considerevole danno patrimoniale che la societa’ attrice sta subendo, specie in considerazione del fatto che essa si vede impedita di vendere a terzi le aree di sua proprieta’ e di ricavare i conseguenti profitti economici”.
In primo grado, il Tribunale rigetto’ la domanda.
La Corte d’appello di Cagliari, invece, riformò la sentenza, accogliendo l’azione di rivendica. Tuttavia, la domanda di risarcimento del danno venne rigettata, sul presupposto che l’occupazione delle aree era avvenuta per opera anche di terzi rispetto al condominio e che la domanda avrebbe dovuto essere proposta contro i singoli proprietari e condomini.
Ne è seguito un primo ricorso in Cassazione, all’esito del quale “Con sentenza n. 20215 del 16 novembre 2012, la Corte di Cassazione rigetto’ il ricorso principale proposto dal condominio ed accolse quello incidentale proposto dalla societa’, osservando che “appare contraddittorio ordinare – come ha deciso la corte distrettuale – al condominio il rilascio dei beni – presupponendo dunque che la disponibilita’ delle aree in questione sarebbe stata sottratta all’uso della proprietaria [……..] sottoposta a contestazioni, quanto alla titolarita’, con varie iniziative giudiziarie, dal medesimo condominio – ed allo stesso tempo negare la tutela risarcitoria che tali condotte dell’ente di gestione avrebbero comportato“.
Riassunto il giudizio dalla societa’, la Corte d’appello di Cagliari rigetto’ l’appello, motivando che “con riferimento alla domanda risarcitoria formulata come impossibilita’ di trarre dai beni il corrispettivo della vendita e non invece proventi di altro genere come canoni locatizi, se era pur vero che nella giurisprudenza di legittimita’ il danno subito dal proprietario per effetto di occupazione illegittima di immobile era stato definito in re ipsa, tuttavia il riconoscimento del danno figurativo sulla base del valore locatizio presupponeva l’allegazione di un pregiudizio derivante dall’impossibilita’ di utilizzarlo, pregiudizio nella specie non prospettato poiche’ nella citazione introduttiva era stata rappresentata soltanto l’impossibilita’ di alienare gli immobili e di lucrare il prezzo della vendita. Aggiunse che quest’ultima domanda era incompatibile con quella di rivendica e rilascio degli immobili perche’, una volta conseguita la disponibilita’ delle aree, l’accoglimento della domanda risarcitoria avrebbe determinato un’indebita locupletazione in favore dell’attrice la quale, oltre ad avere assicurato i beni al proprio patrimonio, ne avrebbe ricavato anche il valore di mercato. Osservo’ ancora la corte territoriale, che “ne’ nell’atto introduttivo del giudizio sono state dedotte altre forme di pregiudizio – quali per esempio un’ipotetica differenza di valore tra il prezzo ricavabile al momento dell’instaurazione della controversia e quello ottenibile dal momento della ottenuta disponibilita’ delle aree – sulle quali, peraltro in disparte le carenze in punto di allegazione, non e’ stato offerto alcun elemento di prova“.
La società propose, dunque, nuovo ricorso per Cassazione, la cui decisione è stata rimessa alle Sezioni Unite, a seguito di ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione Civile n. 3946 dell’ 8 febbraio 2022, al fine di decidere se il danno da occupazione sine titulo di immobile costituisca danno in re ipsa.
I motivi della decisione: la ricostruzione degli orientamenti contrastanti attraverso l’esame delle ordinanze di rimessione.
La Corte ricostruisce prima il percorso argomentativo dell’ordinanza di rimessione della Seconda Sezione Civile n. 3946 dell’ 8 febbraio 2022, che “pone la questione se la compressione della facolta’ di godimento diretto del bene, costituente il contenuto del diritto di proprieta’, debba considerarsi quale danno patrimoniale da risarcire ai sensi del combinato disposto degli articoli 1223 e 2056 c.c.. Osserva l’ordinanza che l’impedimento a ricavare dal bene abusivamente occupato l’utilita’ diretta che esso offre non dovrebbe richiedere alcuna prova ulteriore rispetto a quella del fatto generatore del danno, potendo il godimento diretto esaurirsi anche in una fruizione meramente saltuaria o occasionale o anche nella utilitas derivante dalla mera potenzialita’ di una fruizione (anche una fruizione in potenza e’ idonea a costituire una posta attiva del patrimonio del proprietario). Precisa l’ordinanza che il valore d’uso che si puo’ ritrarre dal godimento diretto del bene, o il valore di scambio che puo’ ricavarsi dalla cessione di tale godimento a terzi, costituiscono di per se’ un valore attivo del patrimonio di chi ha diritto di disporre del bene, integrando la titolarita’ attiva di un rapporto personale o reale di godimento una componente economicamente valutabile del patrimonio del titolare, e che il risarcimento della perdita della disponibilita’ temporanea del bene, liquidabile eventualmente in via equitativa, spetta (anche) nei casi in cui non sia provato in qual modo il titolare avrebbe usato di tale disponibilita’. Aggiunge che la prova del danno conseguenza (l’impedimento al godimento del fondo) si esaurisce in quella del fatto generatore del danno (l’occupazione del fondo), per cui nel caso della perdita del godimento del bene la prova del danno emergente e’ in re ipsa, da liquidare sulla base della durata dell’occupazione, provata dal proprietario, e se del caso mediante il valore locativo di mercato quale tecnica, fra le varie possibili, di liquidazione equitativa. Osserva infine che, ove il proprietario agisca per il danno da mancato guadagno, deve invece offrire la prova specifica delle occasioni di guadagno perse, anche mediante il ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio“.
Successivamente, viene richiamata l’ordinanza interlocutoria n. 1162 del 2022 della Terza Sezione Civile, sintetizzata come segue: “Premette tale ordinanza che l’indirizzo assunto dalla decisione, impugnata con il ricorso proposto in quel processo, non e’ pacifico, atteso che secondo altro indirizzo, una volta soppresse le facolta’ di godimento e disponibilita’ del bene per effetto dell’occupazione abusiva, ricorre una praesumptio hominis di danno risarcibile (cioe’ in re ipsa), corrispondente al danno figurativo rappresentato dal valore locativo del cespite abusivamente occupato, superabile solo con la prova che il proprietario, anche se non spogliato, non avrebbe in alcun modo utilizzato l’immobile. Osserva quindi che la corte territoriale ha seguito l’orientamento secondo cui il danno in re ipsa, giungendo ad identificare il danno con l’evento dannoso, configura un danno punitivo senza alcun riconoscimento legislativo (in contrasto con Cass. Sez. U. n. 16601 del 2017), perche’ il soggetto leso potrebbe ottenere un risarcimento anche quando in concreto non abbia subito alcun pregiudizio, laddove invece cio’ che rileva a fini risarcitori e’ il danno-conseguenza, per cui il danno da occupazione sine titulo puo’ essere dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma tale alleggerimento dell’onere probatorio non puo’ includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto. Precisa l’ordinanza interlocutoria che tale indirizzo si colloca all’interno di una tendenza giurisprudenziale propensa a ricusare ogni forma di danno figurativo e astratto, pur ammettendone la prova per presunzioni, per una serie di fattispecie (ad esempio, seguendo Cass. n. 29982 del 2020, non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’articolo 11 del codice della privacy determina, ai fini del danno non patrimoniale risarcibile, una lesione ingiustificabile del diritto, ma solo quella che offenda in modo sensibile la portata effettiva del diritto alla riservatezza). Osserva infine che in tema di acquisizione sanante ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 42 bis, come affermato da Cass. Sez. U. n. 20691 del 2021, fermo restando l’indennizzo previsto dalla legge nella misura del cinque per cento annuo sul valore venale del bene all’attualita’, e’ onere del proprietario provare il danno ulteriore, ed in particolare di avere perduto occasioni particolari di profitto“.
Osservano le Sezioni Unite che “Entrambe le ordinanze interlocutorie pongono la questione della configurabilita’ del c.d. danno in re ipsa nell’ipotesi di occupazione sine titulo dell’immobile, ma il punto di divergenza fra gli orientamenti che esse esprimono riguarda non il mancato guadagno, bensi’ la perdita subita. Entrambe le ordinanze escludono infatti che un danno in re ipsa sia configurabile in relazione al lucro cessante e si puo’ convenire sul dato che nella giurisprudenza di legittimita’ le occasioni di guadagno perse devono essere oggetto di specifica prova, naturalmente anche a mezzo di presunzioni. La problematica del danno in re ipsa emerge in entrambe le ordinanze in relazione alla facolta’ di godere del proprietario quale individuazione dell’esistenza di un danno risarcibile per il sol fatto che di tale facolta’ il proprietario sia stato privato a causa dell’occupazione abusiva dell’oggetto del suo diritto. Si tratta pertanto del danno da perdita subita (del godimento).
Il Danno da perdita subita del godimento dell’immobile in caso di occupazione ab origine senza titolo è soggetto al regime della responsabilita’ di cui all’articolo 2043 c.c. Esso può essere astrattamente considerato in re ipsa, quale danno emergente sotto i diversi profili della titolarità del diritto di proprietà, del suo contenuto e della possibilità di trarre dall’immobile ogni utilità derivante dal godimento diretto ed indiretto, quale quello di concederlo in locazione
Viene poi analizzato il profilo del danno da mancato godimento in relazione al contenuto del diritto di proprietà, alla possibilità di vendere l’immobile ed alla possibilità di concederlo in locazione.
Sotto i primi due aspetti, la Suprema Corte osserva che: “La vendita del bene, quale forma precipua di occasione di guadagno che sarebbe stata persa per l’occupazione sine titulo, e’ da collegare non al contenuto del diritto previsto dall’articolo 832 c.c., ma alla titolarita’ del diritto ed e’ espressione della possibilita’ di alienare quale caratteristica di tutti i diritti patrimoniali. La compravendita immobiliare e’ manifestazione della titolarita’ del diritto al pari della cessione del credito. Non vi e’ stata quindi, a seguito dell’illegittima occupazione, una compressione del contenuto del diritto di proprieta’, ma il mancato compimento di un atto che il proprietario avrebbe compiuto quale titolare del diritto, se l’occupazione non vi fosse stata, e di cui, anche in via presuntiva, deve essere fornita la prova se viene chiesto il risarcimento per il relativo mancato utile. Per la verita’ vi e’ un indirizzo secondo cui avrebbe natura in re ipsa il danno da incommerciabilita’ dell’immobile che il promittente venditore avrebbe patito a seguito dell’inadempimento del contratto preliminare di compravendita da parte del promissario acquirente (Cass. 31 maggio 2017, n. 13792; 10 marzo 2016, n. 4713; 5 novembre 2001, n. 13630), ma qui puo’ ritenersi operante la presunzione basata sul fatto noto che il proprietario ha posto in vendita l’immobile per cui, se non si fosse impegnato con il convenuto, lo avrebbe venduto ad altri“.
Sulla possibilità di concedere in locazione l’immobile occupato senza titolo, invece, viene affermato che: “la mancata stipulazione di locazione e’ suscettibile di costituire un mancato guadagno se il proprietario dimostra che il contratto sarebbe stato concluso con la previsione di un canone superiore a quello di mercato. La mancata stipulazione di una locazione, quale forma di godimento indiretto del bene mediante i frutti civili che da esso possono ritrarsi (articolo 820 c.c., comma 3), e’ ascrivibile all’area del danno emergente perche’ pur sempre inerente al diritto di godere. La rilevanza del corrispettivo della locazione, ai fini della liquidazione equitativa del danno derivante dall’impedito godimento del bene, discende proprio dal costituire l’equivalente economico del godimento ceduto nell’ambito del rapporto obbligatorio. Il canone di locazione e’ parametro privilegiato per la liquidazione del danno ai sensi dell’articolo 1226 c.c., proprio perche’ costituente il corrispettivo in un contratto che ha per oggetto il godimento dell’immobile. Dunque il godimento ha un valore economico e esso, nell’ambito di una valutazione equitativa del danno, puo’ essere il medesimo sia se il godimento e’ diretto, sia se e’ indiretto mediante la percezione dei frutti civili per il godimento che altri abbia della cosa. Ecco perche’ la mancata locazione, quale spoliazione della facolta’ di godimento indiretto, rientra nell’area della perdita subita e, per tale via, nella problematica del danno in re ipsa. Ove si ritenga che il danno sussista per la violazione in se’ del diritto di godere, il risarcimento spetta, con l’eventuale liquidazione equitativa parametrata sul canone locativo di mercato, a prescindere che si denunci il mancato esercizio della facolta’ di godere in modo diretto o in modo indiretto. Rientra invece nel mancato guadagno, e non puo’ quindi in thesi costituire danno in re ipsa, la locazione per un canone superiore a quello di mercato: tale occasione persa, al pari della mancata alienazione del diritto per un prezzo maggiore di quello di mercato, deve essere oggetto di prova specifica, anche in via presuntiva“.
Infine, viene inquadrato il contenuto del diritto di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, secondo la formulazione dell’art. 832 c.c., osservando come “Tradizionalmente tale facolta’ e’ stata ricondotta allo jus vendendi, ma, come si e’ visto, l’alienazione del diritto e’ piuttosto espressione della titolarita’, la quale e’ comune a tutti i diritti patrimoniali. La migliore dottrina ha invece ricondotto il diritto di disporre al diritto di scegliere le possibili destinazioni del bene e di modificarne l’organizzazione produttiva, definendolo il profilo piu’ intenso del diritto di godere, che potrebbe rinvenire un proprio ascendente nell’antica locuzione latina “jus utendi et abutendi”. Il rilievo trova conferma nelle caratteristiche del diritto di disporre che, al pari di quello di godere, deve esercitarsi “in modo pieno ed esclusivo”. Cosi’ inteso, il diritto di disporre del bene inerisce all’area della perdita subita e dunque alla problematica del danno in re ipsa“.
Il Danno da perdita subita del godimento dell’immobile in caso di occupazione che diviene illegittima a seguito del venir meno del titolo originariamente deve essere regolato tenendo conto della disciplina relativa all’estinzione del rapporto contrattuale (artt. 1591 e 1218 c.c.) e dell’eventuale arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.).
Secondo la Suprema Corte, “nel caso di sopravvenuto venir meno del titolo, che ab origine giustificava l’occupazione dell’immobile, viene in rilievo la disciplina delle fattispecie di estinzione del rapporto contrattuale. L’articolo 1591 c.c., in particolare, per cio’ che concerne la locazione, prevede per la protrazione del godimento da parte del conduttore, a scapito di quello del proprietario, l’obbligo del pagamento del corrispettivo fino alla riconsegna, salvo il risarcimento del danno, nel quale confluiscono le ipotesi di mancato guadagno (occasioni perse di vendita o di locazione a condizione economiche piu’ favorevoli), ma con il regime della responsabilita’ previsto dall’articolo 1218.
E’ appena il caso di aggiungere che estraneo all’occupazione sine titulo e’ anche il paradigma dell’arricchimento senza causa (articolo 2041), nel quale l’assenza di giusta causa dello spostamento patrimoniale non riveste il carattere dell’antigiuridicita’, mentre la diminuzione patrimoniale che qui si fa valere corrisponde a un danno per la presenza di un fatto illecito“.
La ricostruzione delle tesi contrapposte: danno in re ipsa secondo la Seconda Sezione Civile e danno conseguenza secondo la Terza Sezione Civile
Per poter dirimere la questione i cui termini sono stati sopra sintetizzati, le Sezioni Unite ricostruiscono il nucleo essenziale delle tesi che qualificano il danno come “in re ipsa” (secondo la teroria normativa del danno, quale danno evento e presunto, tuttavia suscettibile di esclusione in caso di prova contraria) e quella che, al contrario, considera il danno in questione quale danno conseguenza e richiede un onere di specificazione, allegazione e prova del danno subito, secondo la cosiddetta teoria causale del danno.
Per quanto riguarda la prima, la Suprema Corte osserva che “La tesi del danno in re ipsa e’ debitrice della concezione normativa, elaborata dalla dottrina tedesca, secondo cui l’oggetto del danno coincide con il contenuto del diritto violato, da cui l’esistenza del pregiudizio per il sol fatto della violazione del diritto medesimo. Il danno e’ in re ipsa perche’ appunto immanente alla violazione del diritto. I diritti reali, in quanto diritti su cose, hanno la caratteristica della dissociazione fra contenuto del diritto ed oggetto del diritto (la stessa rubrica dell’articolo 832 e’ nel senso del “contenuto del diritto”). La situazione antigiuridica emerge percio’ non solo con riferimento al danno alla cosa, ma anche quando e’ leso il contenuto del diritto, circostanza quest’ultima che comporterebbe di per se’ un danno risarcibile.
E’ questa la teorica che fa da sfondo alla giurisprudenza, soprattutto della Seconda Sezione Civile, favorevole al danno in re ipsa nell’ipotesi di occupazione sine titulo di immobile. Il carattere in re ipsa del danno viene fatto discendere dalla natura fruttifera del bene (Cass. 25 maggio 2022, n. 6359; 31 luglio 2019, n. 20708; 6 agosto 2018, n. 20545; 28 agosto 2018, n. 21239; 17 novembre 2011, 24100; 10 febbraio 2011, n. 3223; 11 febbraio 2008, n. 3251). Pure nel caso di preclusione dell’uso, anche solo potenziale, della res da parte del comproprietario ad opera di altro comproprietario si parla di danno in re ipsa, liquidabile in base ai frutti civili ritraibili dal bene (Cass. 28 settembre 2016, n. 19215; 12 maggio 2010, n. 11486; 30 ottobre 2009, n. 23065). Sempre secondo la giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, e’ data pero’ al convenuto la possibilita’ di fornire la prova contraria del danno in re ipsa allegato, dimostrando che il proprietario si e’ intenzionalmente disinteressato dell’immobile (Cass. 22 aprile 2022, n. 12865; 15 febbraio 2022, n. 4936; 31 gennaio 2018, n. 2364; 9 agosto 2016, n. 16670; 15 ottobre 2015, n. 20823; 7 agosto 2012, n. 14222). In questo quadro e’ stato precisato che non puo’ sostenersi che si tratti di un danno la cui sussistenza sia irrefutabile, posto che la locuzione “danno in re ipsa” rinvia “all’indisponibilita’ del bene fruttifero secondo criteri di normalita’, i quali onerano l’occupante alla prova dell’anomala infruttuosita’ di uno specifico immobile” (Cass. 7 gennaio 2021, n. 39). A questo proposito deve darsi atto che nella stessa Seconda Sezione Civile e’ emerso un piu’ recente orientamento secondo cui la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno normale” o “danno presunto”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato (Cass. 7 gennaio 2021, n. 39; 20 gennaio 2022, n. 4936; 22 aprile 2022, n. 12865)“.
L’orientamento contrastante, viene così illustrato:
“L’orientamento della Terza Sezione Civile e’ invece ispirato dalla teoria causale del danno, secondo cui il pregiudizio risarcibile non e’ dato dalla lesione della situazione giuridica, ma dal danno conseguenza derivato dall’evento di danno corrispondente alla detta lesione. L’articolo 1223 c.c., cui rinvia l’articolo 2056, attiene al danno conseguenza per il quale rileva il nesso di causalita’ giuridica fra l’evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli meritevoli di risarcimento, mentre altro profilo eziologico e’ quello che connota la causalita’ materiale fra la condotta (lesiva) ed il danno evento. Sulla base di questa premessa si e’ consolidato un indirizzo secondo cui il danno conseguente all’impossessamento sine titulo, in quanto danno conseguenza, deve essere allegato e provato, anche a mezzo di presunzioni, per essere risarcito e non puo’ essere confuso con l’evento di danno rappresentato dalla mancata disponibilita’ dell’immobile a causa dell’abusiva occupazione (Cass. 6 ottobre 2021, n. 27126; 29 settembre 2021, n. 26331; 25 maggio 2021, n. 14268; 16 marzo 2021, n. 7280; 24 aprile 2019, n. 11203; 4 dicembre 2018, n. 31233; 25 maggio 2018, n. 13071; 27 luglio 2015, n. 15757; 17 giugno 2013, n. 15111; 11 gennaio 2005, n. 378).
Richiamando un passaggio motivazionale di Cass. Sez. U. 11 novembre 2008, n. 26972, secondo cui il danno in re ipsa (nella specie riferito al danno non patrimoniale) “snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo”, Cass. n. 13071 del 2018 ha rimarcato come il riconoscimento di un danno in re ipsa nel caso di occupazione sine titulo dell’immobile avrebbe la valenza di danno punitivo fuori delle condizioni previste da Cass. Sez. U. 5 luglio 2017, n. 16601, che ritiene compatibile un tale figura con l’ordinamento giuridico a condizione che vi sia una previsione normativa in tal senso, in ossequio all’articolo 23 Cost.. Sulla stessa lunghezza d’onda, Cass. n. 31233 del 2018 ha precisato che il danno evento rappresentato dalla mancata disponibilita’ dell’immobile non e’ idoneo ad integrare il fatto noto della presunzione, di cui all’articolo 2729 c.c., che dovrebbe condurre alla prova del danno conseguenza, dovendo piuttosto quest’ultimo essere inferito da circostanze di fatto allegate e in grado dimostrare il nesso di causalita’ giuridica fra il danno evento ed il pregiudizio derivatone“.
La composizione del contrasto: il danno da mancato godimento è un “danno presunto” o “danno normale”, per il quale la presunzione opera sulla base di specifiche circostanze dalle quali inferire il pregiudizio allegato
Le Sezioni Unite compongono il contrasto operando una sintesi dei due orientamenti richiamati e valorizzando in quest’ottica la “linea evolutiva della giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, secondo cui la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale“.
Infatti, ” tale esito interpretativo, per quanto riguarda la lesione della facolta’ di godimento, resta coerente al significato di danno risarcibile quale perdita patrimoniale subita in conseguenza di un fatto illecito. La linea da perseguire e’ infatti, secondo le Sezioni Unite, quella del punto di mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla Terza Sezione Civile. Al fine di salvaguardare tale punto di mediazione, l’estensione della tutela dal piano reale a quello risarcitorio, per l’ipotesi della violazione del contenuto del diritto, deve lasciare intatta la distinzione fra le due forme di tutela“.
La motivazione delle Sezioni Unite è particolarmente ricca e complessa e conviene darne atto in maniera diffusa.
Il primo passo è chiarire la distinzione tra l’azione reale e quella risarcitoria, che le Sezioni Unite delineano come segue:
“La distinzione fra azione reale e azione risarcitoria e’ il riflesso processuale di quella sostanziale fra regole di proprieta’ (property rules) e regole di responsabilita’ (liability rules). La tutela reale e’ orientata al futuro e mira al ripristino dell’ordine formale violato mediante l’accertamento dello stato di diritto e la rimozione dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo, a parte la tutela inibitoria come negli articoli 844 e 1171 c.c.. L’azione di rivendicazione esperita nei confronti dell’occupante sine titulo ripristina sul piano astratto la situazione giuridica violata e rimuove l’impedimento all’esercizio del diritto mediante la riduzione nel pristino stato. Rientra nell’azione reale anche la tutela indennitaria prevista da disposizioni quali l’articolo 948 c.c., comma 1, con riferimento al valore della cosa in caso di mancato recupero della stessa, o l’articolo 938 c.c., con riferimento al doppio del valore della porzione di fondo attiguo occupato, come e’ reso evidente dal fatto che tali disposizioni fanno salvo, quale rimedio distinto, il risarcimento del danno, e dunque costituiscono pur sempre applicazione delle regole di proprieta’ e non di quelle di responsabilita’. L’azione risarcitoria e’ invece orientata al passato e costituisce il rimedio per la perdita subita a causa della violazione del diritto. Essa costituisce la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita verificatasi in conseguenza della condotta abusiva dei terzi. Mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l’alterazione dell’ordinamento formale, la tutela risarcitoria e’ compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalita’ del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) e’ in uscita, del lucro cessante se la perdita e’ in entrata“.
Il secondo passo è quello di considerare la differenza della tutela reale e di quella risarcitoria, alla luce della distinzione tra causalità materiale e causalità giuridica, propria della teoria causale del danno. Prosegue, infatti, la motivazione:
“La distinzione fra le due forme di tutela comporta che il fatto costitutivo dell’azione risarcitoria non possa coincidere senza residui con quello dell’azione di rivendicazione ma debba contenere l’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile. Cio’ significa tenere ferma la distinzione, espressione della teoria causale del danno, fra causalita’ materiale e causalita’ giuridica.
La distinzione fra causalita’ materiale e causalita’ giuridica e’ un’acquisizione risalente della giurisprudenza di questa Corte. Sul punto vanno richiamati gli arresti delle Sezioni Unite. Sia Cass. Sez. U. 11 gennaio 2008, n. 576, che Cass. Sez. U. 11 novembre 2008, n. 26972, entrambe muovendo dall’ipotesi del danno non patrimoniale, hanno differenziato nell’ambito dell’illecito aquiliano la causalita’ materiale, rilevante ai fini dell’imputazione del danno evento (dommage o damnum) ad una determinata condotta secondo i criteri di responsabilita’ previsti dalla disciplina del fatto illecito, e la causalita’ giuridica, di cui sono espressione gli articoli 1223 e 2056, la quale, in funzione di selezione delle conseguenze dannose risarcibili, attiene al nesso eziologico fra il danno evento ed il c.d. danno conseguenza (pre’judice o praeiudicium), costituente l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria. Gia’ prima delle richiamate pronunce delle Sezioni Unite vi erano state Cass. 16 ottobre 2007 n. 21619, le sentenze gemelle Cass. n. 8827 e n. 8828 del 31 maggio 2003, Cass. 24 ottobre 2003, n. 16004, tutte quante rese sempre in materia di danno non patrimoniale, e ancora prima Cass. 15 ottobre 1999, n. 11629. Anche nella giurisprudenza costituzionale, secondo la linea evolutiva che va da Corte Cost. 14 luglio 1986 n. 184 a Corte Cost. 27 ottobre 1994 n. 372, e’ emersa la distinzione fra danno evento e danno conseguenza. La distinzione fra causalita’ materiale e causalita’ giuridica e’ stata da ultimo ripresa da Corte Cost. 15 settembre 2022, n. 205.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che “se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi e’ un danno-conseguenza, non vi e’ l’obbligazione risarcitoria” (Cass. Sez. U. n. 576 del 2008), cosi’ temperando l’originario rigorismo della tesi della causalita’ giuridica presente nella dottrina che la introdusse. Secondo questa dottrina la fattispecie della responsabilita’ risarcitoria si perfeziona con la verificazione del fatto, comprensivo dell’azione e dell’evento, mentre la causalita’ giuridica interviene solo in funzione selettiva del danno risarcibile all’esito di una responsabilita’ gia’ accertata. Una simile visione resta nell’alveo della prospettiva pan-penalistica dell’atto antigiuridico (non iure, nel senso di comportamento non giustificato dal diritto), mentre il punto di vista della moderna responsabilita’ civile, improntata al principio di solidarieta’ (articolo 2 Cost.), e’ quello dell’allocazione del danno contra ius (“ingiusto”, secondo la qualifica dell’articolo 2043). Al rigorismo dell’originaria tesi dottrinale va obiettato che in assenza delle conseguenze previste dall’articolo 1223 c.c., non vi e’ alcuna responsabilita’ risarcitoria da accertare perche’ non vi e’ danno da risarcire. La fattispecie del fatto illecito si perfeziona con il danno conseguenza: cio’ vuol dire che la perdita subita e il mancato guadagno (articolo 1223) non sono un posterius rispetto al danno ingiusto, ma sono i criteri di determinazione di quest’ultimo, secondo la lettera dell’articolo 2056. Diversamente da quanto pur affermato in dottrina, il “danno” di cui fa menzione la seconda parte dell’articolo 2043 non e’ altra cosa dal “danno ingiusto” di cui si parla nella prima parte: se non c’e’ danno conseguenza non c’e’ danno”
“Causalita’ materiale e causalita’ giuridica non sono cosi’ le fasi di una successione cronologica, ma sono i due diversi punti di vista in sede logico-analitica dell’unitario fenomeno del danno ingiusto (di “profili diversi” dell’unico danno gia’ discorreva Cass. sez. U. n. 576 del 2008, punto n. 5.1.), il quale non e’ identificabile se non alla luce di questa dualita’ di nessi causali, l’uno informato al criterio della regolarita’ causale, l’altro a quello della conseguenzialita’ immediata e diretta. Cagionato l’evento di danno, la fattispecie del fatto illecito e’ integrata con la realizzazione delle conseguenze pregiudizievoli, senza che fra evento e conseguenza vi sia un distacco temporale: la distinzione e’ logica, non cronologica.
Il danno conseguenza assume rilevanza giuridica non per la mera differenza patrimoniale fra il prima e il dopo dell’evento dannoso, ma solo in quanto cagionato da un evento lesivo di un interesse meritevole di tutela ad un determinato bene della vita, secondo la fondamentale definizione contenuta in Cass. Sez. U. 22 luglio 1999, n. 500; reciprocamente, l’evento di danno e’ giuridicamente rilevante solo se produttivo del danno conseguenza quale concreto pregiudizio al bene della vita. La nozione di danno ingiusto di cui all’articolo 2043 c.c., rappresenta la sintesi di questi due reciproci vettori“.
I passi successivi della motivazione sono dedicati all’esame di quale sia il danno risarcibile in relazione al diritto di proprietà, distinguendo tra lesione del bene oggetto del diritto e lesione del contenuto del diritto di proprietà.
“Quando l’azione dannosa attinge sulla base del nesso di causalita’ materiale il bene, l’evento di danno e’ rappresentato dalla lesione del diritto per il pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprieta’, ma affinche’ un danno risarcibile vi sia, perfezionandosi cosi’ la fattispecie del danno ingiusto, e’ necessario che al profilo dell’ingiustizia, garantito dalla violazione del diritto, si associ quello del danno conseguenza, e percio’ la perdita subita e/o il mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalita’ giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell’evento dannoso. E’ quanto accade ad esempio nel caso del danno da c.d. fermo tecnico di veicolo incidentato, per il quale e’ richiesta la prova della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo (si vedano Cass. 14 ottobre 2015, n. 20620 e le altre conformi fino alla recente Cass. 19 settembre 2022, n. 27389).
Quando l’azione lesiva attinge invece il contenuto del diritto di proprieta’ (“il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”), cio’ che viene in primo luogo in rilievo e’ la violazione dell’ordine giuridico. L’ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell’ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso. Questa tutela puo’ eventualmente concorrere con la misura restitutoria del bene, di cui e’ pure espressione la fattispecie di cui all’articolo 1148 c.c., la quale disciplina con riferimento ai frutti naturali separati e ai frutti civili maturati le conseguenze della restituzione della cosa da parte del possessore (nella specie di mala fede o comunque nello stato soggettivo di cui all’articolo 1147 c.c., comma 2) convenuto dal proprietario in sede di rivendicazione. Sia la cosa (articolo 810 c.c.), che i frutti (articolo 820 c.c.), appartengono alla disciplina dei beni e percio’ restano nell’alveo dell’azione di rivendicazione sotto il profilo degli effetti restitutori.
La domanda risarcitoria presuppone che, per la presenza di un danno risarcibile, l’azione lesiva del contenuto del diritto di proprieta’ sia valutabile non solo come violazione dell’ordine formale, ma anche come evento di danno. In quest’ultimo caso il nesso di causalita’ materiale si stabilisce fra l’occupazione senza titolo dell’immobile e direttamente la lesione del diritto di proprieta’, senza passare per l’intermediazione del pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprieta’. L’evento di danno riguarda non la cosa, ma proprio il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa. Il danno risarcibile e’ rappresentato dalla specifica possibilita’ di esercizio del diritto di godere che e’ andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall’occupazione abusiva, del “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”. Il nesso di causalita’ giuridica si stabilisce cosi’ fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilita’ di godimento che e’ stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.
Saldando il danno suscettibile di risarcimento alla concreta possibilita’ di godimento persa, per un verso si rende risarcibile il contenuto del diritto violato, in ossequio alla teoria normativa del danno, per l’altro si riconduce la violazione giuridica a una specifica perdita subita, in ossequio alla teoria causale. Il riferimento alla specifica circostanza di godimento perso stabilisce la discontinuita’ fra il fatto costitutivo dell’azione di rivendicazione e quello dell’azione risarcitoria, preservando la distinzione fra la tutela reale e quella risarcitoria. Diversamente si avrebbe l’inaccettabile conseguenza non del danno punitivo, come pure affermato dalla giurisprudenza della Terza Sezione Civile, ma del danno irrefutabile che non ammette prova contraria. Affinche’ si abbia un danno punitivo e’ necessario un quid ulteriore che colleghi la riparazione della perdita subita alla riprorevolezza della condotta del danneggiante, con un’amplificazione della componente riparatoria in misura proporzionale al grado della colpa o all’intensita’ del dolo del danneggiante (mediante il cumulo di compensatory damage e punitive damage), e tale non puo’ dirsi che sia l’esito della tesi del danno in re ipsa. Viceversa, se la causa petendi dell’azione risarcitoria viene fatta coincidere senza residui con quella dell’azione risarcitoria, il risarcimento spetterebbe sempre a fronte della denuncia della compressione del diritto di godere della cosa quale astratta posizione riconosciuta dall’ordinamento, senza che si dia possibilita’ della prova contraria“.
Il pregiudizio subito in concreto deve essere allegato, non essendo tutelato a livello risarcitorio il non uso della proprietà. Analogamente, esso può essere contestato. Sulle parti grava l’onere della prova delle circostanze rispettivamente affermate.
Secondo la prospettazione della Suprema Corte, dunque, sarà comunque necessario allegare la concreta possibilità di godimento persa per l’occupazione senza titolo, la quale ammette anche la contestazione e la relativa prova contraria.
La Suprema Corte ne trae una conseguenza fondamentale, allontanandosi dal concetto di danno in re ipsa, osservando come il non uso non possa essere tutelato con l’azione risarcitoria, essendo già oggetto della tutela reale.
“Nella comune fattispecie di occupazione abusiva d’immobile e’ al contrario richiesta, come si e’ visto, l’allegazione della concreta possibilita’ di esercizio del diritto di godimento che e’ andata persa. Cio’ significa che il non uso, il quale e’ pure una caratteristica del contenuto del diritto, non e’ suscettibile di risarcimento. E’ pur vero che a fondamento dell’imprescrittibilita’ del diritto di proprieta’ vi e’ la circostanza che fra le facolta’ riconosciute al proprietario vi e’ anche quella del non uso, ma l’inerzia resta una manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, mentre il danno conseguenza riguarda il pregiudizio al bene della vita che, mediante la violazione del diritto, si sia verificato. Alla reintegrazione formale del diritto violato, anche nella sua esplicazione di non uso, provvede la tutela reale e non quella risarcitoria“.
Le ragioni alla base di tale implicazioni sono del tutto condivisibili, così come le conseguenze che la Suprema Corte ne ricava dal punto di vista processuale, in ordine all’onere della prova che grava sulle parti.
Infatti, “la perdita subita attiene al godimento, diretto o indiretto mediante il corrispettivo del godimento concesso ad altri, che e’ poi l’oggetto vero del contrasto giurisprudenziale da risolvere, e non alla vendita, per la quale, corrispondendo il relativo danno alla differenza fra il prezzo di mercato e quello maggiore che si sarebbe potuto ricavare dall’atto dispositivo mancato, non puo’ che parlarsi di mancato guadagno. L’allegazione che l’attore faccia della concreta possibilita’ di godimento perduta puo’ essere specificatamente contestata dal convenuto costituito. Al cospetto di tale allegazione il convenuto ha l’onere di opporre che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento. La contestazione al riguardo non puo’ essere generica, ma deve essere specifica, nel rigoroso rispetto del requisito di specificita’ previsto dall’articolo 115 c.p.c., comma 1. In presenza di una specifica contestazione sorge per l’attore l’onere della prova dello specifico godimento perso, onere che puo’ naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (articolo 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici. Nel caso della presunzione l’attore ha l’onere di allegare, e provare se specificatamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilita’ di godimento persa. Sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno puo’ essere valutato equitativamente ai sensi dell’articolo 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa.
Se la domanda risarcitoria ha ad oggetto il mancato guadagno causato dall’occupazione abusiva, l’onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi, fra i quali si possono identificare non solo le occasioni perse di vendita a un prezzo piu’ conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato (una volta che si quantifichi equitativamente il godimento perduto con il canone locativo di mercato, il corrispettivo di una locazione ai correnti valori di mercato rientra, come si e’ visto, nelle perdite subite). Ove insorga controversia in relazione al fatto costitutivo del lucro cessante allegato, l’onus probandi anche in questo caso puo’ naturalmente essere assolto mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o le presunzioni semplici. In generale, in relazione al mancato guadagno puo’ rinviarsi alla costante giurisprudenza in materia di maggior danno ai sensi dell’articolo 1591 c.c. (fra le tante Cass. 3 febbraio 2011, n. 2552; 26 novembre 2007, n. 24614; 27 marzo 2007, n. 7499; 13 luglio 2005, n. 14753; 23 maggio 2002, n. 7546).
Sia per la perdita subita che per il mancato guadagno va rammentato che l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. 31 agosto 2020, n. 18074; 4 gennaio 2019, n. 87; 18 luglio 2016, n. 14652; 13 febbraio 2013, n. 3576). Poiche’ non si compie l’effetto di cui all’articolo 115 c.p.c., comma 1, per i fatti ignoti al danneggiante l’onere probatorio sorge comunque per l’attore, a prescindere dalla mancanza di contestazione, ma il criterio di normalita’ che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza dei fatti ignoti alla parte convenuta sia tendenzialmente piu’ ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno. Ne consegue sul piano pratico la maggiore ricorrenza per il convenuto dell’onere di contestazione, nel rigoroso rispetto del requisito di specificita’ previsto dall’articolo 115, comma 1, nelle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l’attore dell’onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno. Si chiarisce cosi’ la portata eminentemente pratica delle nozioni di “danno normale” e “danno presunto” emerse nella recente giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, le quali rinviano, nelle controversie relative alla perdita subita, a una maggiore frequenza dell’onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l’attore dell’onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalita’ del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell’occupazione abusiva.
I principi di diritto conclusivamente affermati da Cass. Civ. Sezioni Unite n. 33645/2022
Alla luce della motivazione sopra ampiamente riportata, le Sezioni Unite enunciano tre principi di diritto:
- “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita e’ la concreta possibilita’ di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che e’ andata perduta“;
- “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non puo’ essere provato nel suo preciso ammontare, esso e’ liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato“;
- “nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno e’ lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo piu’ conveniente di quello di mercato“.
Avv. Emanuele Nati