La Suprema Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 15568/2020 pubblicata lo scorso 21 luglio 2020, è intervenuta in tema di intermediazione finanziaria-banche affermando che la mancata previsione dell’invio periodico di informazioni, nell’ambito di un contratto di deposito titoli – in un conto poco movimentato -, non è di per sé contrario ai canoni di buona fede, a differenza delle operazioni bancarie di conto corrente le quali obbligano l’istituto di credito a fornire periodicamente informazioni sul suo andamento.
Con la pronuncia in commento i giudici di Piazza Cavour hanno precisato, inoltre, che il diritto del cliente a essere informato sulle attività di intermediazione mobiliare e sulle giacenze del proprio deposito titoli trova fondamento esclusivamente nel principio di buona fede, quale clausola generale di interpretazione del contratto.
Il suddetto diritto si configurerebbe – secondo gli Ermellini – come un autonomo diritto, estraneo alle obbligazioni tipiche che ne costituiscono lo specifico contenuto, pur derivando dal contratto stesso: esso nasce, infatti, dall’obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà.
Nel caso in esame, il ricorrente, cliente della ex Banca popolare della Marsica spa (ora Monte Paschi) – rimasta soccombente nei giudizi di merito – proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a due motivi:
1- con il primo il ricorrente censurava la statuizione di rigetto della domanda di risoluzione contrattuale, in quanto la sentenza della Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la prova della titolarità, in capo al ricorrente, del conto deposito titoli, appoggiato sul proprio conto corrente, entrambi asseritamente aperti dallo stesso ricorrente presso l’Istituto bancario, malgrado la documentazione versata in atti e le risultanze dell’istruttoria orale svolta in primo grado dimostrassero il contrario;
2 – con il secondo motivo veniva altresì censurata la sentenza della corte distrettuale per violazione e falsa applicazione degli artt. 1375, 1453, 1455 e 2697 c.c. – L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6 – artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte D’Appello, in tema di prova dell’inadempimento delle obbligazioni, avrebbe disatteso la domanda di risoluzione contrattuale sulla base di principi già affermati dalla Corte, ma che risultavano al ricorrente palesemente viziati per violazione delle disposizioni del codice civile poichè, una volta provato il rapporto negoziale tra le parti ed allegato l’inadempimento della Banca, sarebbe stato onere di quest’ultima provare il fatto estintivo della sua pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Il ricorrente sosteneva, inoltre, che il diritto del cliente ad essere informato sulle attività di intermediazione mobiliare e sulla giacenza del proprio deposito titoli trovasse fondamento nel principio di buona fede quale clausola generale di interpretazione ed esecuzione del contratto, nonché fonte di integrazione della regolamentazione negoziale, ai sensi degli artt. 1366, 1375 e 1374 c.c.
Le suddette doglianze, scrutinate congiuntamente dai giudici di legittimità, sono state ritenute entrambe infondate.
In particolare, la suprema Corte – confermando la decisione della Corte d’Appello che, nel respingere la domanda di risoluzione contrattuale formulata del ricorrente, ha ritenuto non provata la titolarità, in capo a quest’ultimo, del conto deposito titoli giacente presso la Banca convenuta – ha precisato che la mancanza del documento contrattuale ha impedito, “anche di valutare il dedotto inadempimento, giudizio imprescindibile, atteso che l’art. 1455 c.c. richiede, per la risoluzione, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza. Infatti, quello in esame non è un contratto di conto corrente, nel quale è comunemente prevista l’obbligazione accessoria di inviare al correntista estratti conto periodici, ma un conto di deposito, con il quale la banca assume l’obbligazione di custodire i titoli che il correntista acquista (e di cui, perciò, necessariamente conosce numero e tipo, atteso che solo a seguito del suo acquisto e di sue disposizioni essi vengono depositati sul conto), ma non anche quella di informare il correntista, periodicamente, della consistenza dei titoli depositati (che, in mancanza di acquisti, può anche non variare mai)”.
Si è specificato, tra l’altro, che “la mancata previsione, in un contratto di deposito, spesso poco o per nulla movimentato, dell’invio periodico di informazioni non appare, di per sé ed in assenza di altri ulteriori elementi, contrario ai canoni di correttezza e buona fede che regolano l’esecuzione dei contratti”.
Pertanto, secondo gli Ermellini, “in mancanza di prova della sussistenza del concreto contenuto dell’obbligo di informare periodicamente il cliente, non può affermarsi che la banca sia stata inadempiente, nè, tanto meno, che il suo inadempimento non sia stato di scarsa importanza”.
La Banca resistente, con controricorso, proponeva ricorso incidentale condizionato con un motivo volto a contestare la ritenuta ammissibilità, ad opera della corte aquilana, del mutamento di domanda operato dal ricorrente in primo grado ex art. 1453 c.c.. La Corte ha ritenuto assorbito tale motivo, atteso il rigetto del ricorso principale.
Conclusioni
In estrema sintesi, secondo l’interpretazione fornita dalla pronuncia in commento, il contratto di deposito, con il quale la banca assume l’obbligazione di custodire i titoli che il correntista acquista, non può essere assimilato ad un contratto di conto corrente, nel quale è prevista una rendicontazione periodica, ma si tratterebbe, appunto, di un mero conto deposito, con il quale la banca assume solo l’obbligazione di custodire i titoli, ma non anche quella di informare periodicamente il cliente medesimo della consistenza dei titoli ivi depositati.
Avv. Sonia Arena