Con la ordinanza n. 12241 del 23 giugno 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato un principio più volte enunciato a Piazza Cavour, secondo il quale l’abbandono del tetto coniugale di uno dei coniugi vale sempre come causa di addebito della separazione, a meno che il coniuge dimostri che l’abbandono sia dipeso dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero che si sia verificato nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza era già in atto da tempo e come conseguenza di tale circostanza.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito di rigettare la richiesta di addebito da parte del marito nei confronti della moglie fondando la propria decisione sul rilievo che l’abbandono della casa coniugale era intervenuto in un momento in cui era già in corso una crisi matrimoniale in conseguenza del comportamento di entrambi, tanto da precludere la realizzazione di tutti i progetti di vita.
Il che conferma che in alcuni casi, l’abbandono della casa coniugale è legittimo.
Quanto all’onere della prova, occorre rilevare che spetta a colui che si è allontanato dall’abitazione dare la prova della giusta causa dell’allontanamento, ossia fornire una serie di circostanze comprovanti la crisi pregressa rispetto all’allontanamento (assenza di rapporti intimi; litigi con i familiari dell’altro coniuge; etc.).
Per contro, ricade sul richiedente l’addebito della separazione, la prova del nesso di causalità tra l’abbandono da parte dell’altro coniuge e la conseguente intollerabilità della prosecuzione del rapporto.
Più semplicemente, il coniuge che subisce l’abbandono per ottenere l’addebito sull’altro, dovrà provare che la crisi coniugale è stata la conseguenza dell’allontanamento dell’altro e non il contrario.
Avv. Francesca Muscarello