Con la ordinanza n. 15773 del 23 luglio 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha censurato la sentenza con la quale la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della impugnata sentenza del Tribunale di Terni ha aumentato da € 650,00 ad € 1.200 l’assegno divorzile dovuto dall’ex marito alla ex coniuge, in virtù del fatto che all’esito dell’esame della documentazione fiscale sarebbe emerso una maggior potenzialità economica del ricorrente rispetto a quella della ex moglie, la quale si era dedicata alla cura e gestione della famiglia, con ciò rinunciando a costruire nel tempo una propria posizione lavorativa.
Gli ermellini, nell’accogliere il ricorso, hanno ribadito come il riconoscimento dell’assegno divorzile, cui deve attribuirsi a mente dell’art. 5 della l.n. 898/1970, una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. In particolare, si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contribuito fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
Partendo da questi principi, ormai consolidati, gli inquilini del Palazzaccio hanno ritenuto che la Corte di Appello di Perugia non abbia fatto corretta applicazione dei precetti normativi di cui all’art. 5 l.n. 898/1970, avendo incentrato la propria decisione unicamente sul parametro del mantenimento dello stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che invece è escluso dall’indirizzo sopra indicato.
La Suprema Corte, dunque, in accoglimento dei motivi di ricorso spiegati sul punto, ha rinviato alla Corte territoriale per procedere ad un nuovo giudizio di comparazione secondo i criteri sopra precisati.
A tal fine, la Corte di Cassazione ha chiarito un importantissimo principio di diritto correlato all’assegnazione della casa coniugale, laddove, anche se dovuta per la presenza dei figli, essa si traduce in ogni caso in un risparmio di spesa che incide favorevolmente sulla situazione economica del coniuge assegnatario e dunque, contrariamente a quanto aveva statuito la Corte di Appello di Perugia, secondo cui l’assegnazione della casa coniugale non rivestiva alcuna incidenza, anche tale elemento dovrà essere tenuto in debita considerazione nella determinazione dell’assegno divorzile.
Pertanto, nel corso del giudizio di rinvio, il Giudice di merito dovrà porre estrema attenzione alla comparazione dei redditi degli ex coniugi, incentrando la propria analisi sulla formazione e sulla consistenza del patrimonio della ex moglie e sull’apporto effettivo dato dalla medesima alla costituzione del patrimonio familiare e di quello del coniuge, oltre che sul risparmio di spesa da questa conseguito grazie all’assegnazione della casa familiare.
Avv. Francesca Muscarello