La Corte di Cassazione ribadisce che l’amministratore di condominio commette il reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p. sia nel caso in cui prelevi somme dal conto di un condominio utilizzandole per pagare le spese di un altro condominio che egli amministra, sia nel caso in cui prelevi somme dal conto corrente condominiale per effettuare un rimborso in favore di se stesso di importo superiore alle anticipazioni effettuate. Tuttavia, l’eventuale responsabilità dell’amministratore dovrà essere valutata in concreto, essendo molteplici gli elementi che possono escludere la configurazione del reato in presenza dei fatti considerati dalla sentenza. Il reato di appropriazione indebita da parte dell’amministratore di condominio si deve ritenere consumato solamente al momento del passaggio di consegne.
Il fatto e la difesa dell’amministratore di condominio
Un amministratore di condominio aveva utilizzato il saldo attivo del conto di un condominio per provvedere al pagamento di spese relative ad altri condomini da egli stesso amministrati. La difesa rispetto alla contestazione dell’illiceità del fatto è stata incentrata su due elementi.
Il primo relativo alla condizione economica dell’amministratoree, che non gli avrebbe permesso di anticipare di tasca propria le somme occorrenti per la gestione dei condomini che si erano avvantaggiati della condotta contestata.
Il secondo relativo all’inconfigurabilità dell’elemento psicologico del reato. In particolare, l’art. 646, co. 1 del Codice Penale prevede che: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa , con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000″.
L’amministratore ha sostenuto che non aveva lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto ma, al piu’, quello di utilizzare le somme per poter effettuare dei pagamenti di altri condominii dallo stesso amministrati, condotta questa imposta dalla difficolta’ economica nella quale lo stesso versava.
Dal tenore della sentenza, inoltre, sembrerebbe che una parte delle somme utilizzate dall’amministratore siano state prelevate dalle casse del condominio a titolo di rimborso di anticipazioni effettuate dallo stesso amministratore e questa circostanza sarebbe un ulteriore elemento per escludere la finalità di conseguire un ingiusto profitto da parte dell’amministratore.
La Motivazione – L’approporiazione indebita da parte dell’amministratore di condominio
Nella motivazione della Sentenza, la Corte spiega che le argomentazioni portate dall’amministratore non valgono ad escludere la configurazione dell’illecito e la conseguente responsabilità.
Infatti, “integra il delitto di appropriazione indebita sia la condotta dell’amministratore di piu’ condominii che, senza autorizzazione, utilizzi i saldi dei conti attivi dei singoli condomini per esigenze di altri condominii amministrati, in quanto tale condotta comporta di per se’ la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento (Sez. 2, n. 57383 del 17/10/2018, Beretta, Rv. 274889), sia quella dell’amministratore che prelevi delle somme di denaro depositate sui conti correnti dei singoli condomini, dei quali egli abbia piena disponibilita’ per ragioni professionali, con la coscienza e volonta’ di farle proprie a pretesa compensazione con un credito di gran lunga inferiore alla somma cosi’ indebitamente trattenuta (Sez. 2, n. 12618 del 13/12/2019, dep. 2020, Marcoaldi, Rv. 278833)“.
Ciò che rileva, in altri termini, è il fatto che l’amministratore di condominio abbia consapevolmente destinato le somme ricevute dai condomini per fini diversi da quelle per le quali le aveva ricevute.
In tale condotta viene ritenuto sussistente tanto l’elemento materiale del reato di appropriazione indebita (consistente nella gestione delle somme come dominus), quanto quello psicologico (per integrare il quale la sentenza ritiene sufficiente il dolo generico).
Considerazioni sull’elemento materiale e psicologico del reato di appropriazione indebita: l’utilizzo temporaneo della cosa e la sua pronta restituzione
Per quanto riguarda l’elemento materiale del reato, esso si ritiene integrato quando il soggetto agisce utilizzando il denaro o la cosa altrui dei quali abbia il possesso come se ne fosse il proprietario.
In altri termini, così come rilevato dalla sentenza, il soggetto deve comportarsi uti dominus.
Ciò significa che, comportandosi come proprietario del bene altrui, il soggetto oltrepassa la facoltà di disposizione del denaro o del bene mobile che gli è stata conferita con il titolo in virtù del quale li possiede.
Si tratta, quindi, di situazioni assimilabili a quelle che danno origine all’interversione del possesso , che si verificano appunto quando il possessore cessa di comportarsi come tale e utilizza il bene posseduto come se ne fosse il proprietario.
Questo comportamento è altresì caratterizzato dall’elemento della distrazione del denaro o del bene e cioé dall’utilizzazione secondo una destinazione differente rispetto alla sua originaria destinazione.
Per questi motivi, in giurisprudenza si è spesso escluso che il mero utilizzo della cosa possa configurare il reato di cosiddetta appropriazione indebita d’uso.
Ad esempio , secondo Cass. pen. Sez. II, 22/02/1983, “L’appropriazione indebita d‘uso non è prevista come ipotesi di reato giacché l’elemento essenziale del delitto di cui all’art. 646 c. p. è l’inversione del possesso in dominio e l’uso può essere assunto come elemento di prova dell’avvenuta appropriazione indebita, ma non può di per sé essere considerato sufficiente ad integrare l’elemento obiettivo del delitto, occorrendo invece che all’atto materiale che eccede le facoltà inerenti al possesso si accompagni, esplicita o implicita ma inequivocabile, la manifestazione di volontà del soggetto attivo di tenere come propria la cosa“.
Tuttavia, in giurisprudenza è dato rinvenire anche posizioni più rigorose, che propendono per la configurabilità del reato anche quando l’impossessamento sia temporaneo, ma caratterizzato da un utilizzo del bene del tutto esorbitante dalle finalità del possesso da parte dell’agente.
Ad esempio, secondo Cass. pen. Sez. II Sent., 27/11/2009, n. 47665, “Il reato di appropriazione indebita è integrato anche dal mero uso indebito di una “res”, quando esso sia avvenuto eccedendo completamente i limiti del titolo in virtù del quale l’agente deteneva in custodia la stessa, di modo che l’atto compiuto comporti un impossessamento, sia pur temporaneo, del bene. (Nella specie è stato ravvisato il reato nella condotta di un gommista che – avendo ricevuto in custodia una autovettura Ferrari per la sostituzione dei pneumatici – la aveva in più occasioni usata per ragioni personali, fino a provocare un incidente stradale che aveva danneggiato gravemente l’autovettura)”.
In questi casi, tuttavia, l’elemento rilevante sembra essere il fatto che dall’interversione è derivata una modificazione del bene tale che il suo valore sia risultato diminuito, così concretando un vero e proprio danno nel patrimonio del proprietario del bene.
Confermerebbe tale impostazione la giurisprudenza relativa al peculato, che fonda la distinzione tra il peculato d’uso e quello per appropriazione proprio sulla definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa.
Secondo Cass. pen. Sez. VI, 29/01/2015, n. 14040, infatti, “La figura delittuosa del peculato d‘uso, contenuta nel comma 2° dell’art. 314 c.p., delinea una condotta del tutto autonoma e strutturalmente diversa da quella racchiusa nel 1° comma in quanto l’uso momentaneo, seguito dall’immediata restituzione della cosa, non integra un’autentica appropriazione, che si realizza solo con la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa. Nel peculato d‘uso lo scopo perseguito dall’agente costituisce un elemento specializzante che impedisce di inquadrare il fatto nell’alveo del peculato vero e proprio. L’uso momentaneo non significa istantaneo ma temporaneo, ossia protratto per un tempo limitato, così da comportare la sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale ma tale da non compromettere seriamente la funzionalità della P.A. Ai fini della sussistenza del peculato d‘uso si ritiene essenziale il rapporto di funzionalità della cosa sottratta, rispetto alla natura dell’uso momentaneo per cui si fa ricorso all’appropriazione. In termini pratici si è ritenuto che l’uso costante, reiterato e protratto nel tempo di un’autovettura, da parte del pubblico funzionario, integra la più grave ipotesi di peculato per appropriazione“.
Anche per questi motivi, in presenza di un credito certo, liquido ed esigibile, viene esclusa la configurabilità del reato di appropriazione indebita quando il soggetto provveda utilizzi il denaro a compensazione del proprio credito.
Invece, il reato si configura quando il credito non abbia i caratteri di certezza, liquidità ed esigibilità (cfr. Cass. pen. Sez. II Sent., 13/12/2019, n. 12618, secondo cui “Integra il delitto di appropriazione indebita, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il prelievo da parte dell’amministratore di condominio di somme di denaro depositate sui conti correnti dei singoli condomìni, dei quali egli abbia piena disponibilità per ragioni professionali, con la coscienza e volontà di farle proprie a pretesa compensazione con un credito preesistente non certo, né liquido ed esigibile“).
Queste ultime considerazioni fanno da collante tra l’elemento materiale del reato e quello psicologico.
Contrariamente a quanto affermato nella sentenza riportata, infatti, la giurisprudenza non ritene sufficiente il dolo generico, ma richiede per la configurabilità del reato il dolo specifico.
Infatti, secondo Cass. pen. Sez. II Sent., 01/03/2019, n. 19147, “Non integra il reato di appropriazione indebita, in mancanza della prova del dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto o un vantaggio che si ponga come “danno patrimoniale” cagionato alla società, il trattenimento a titolo di compenso, da parte dell’amministratore di una società di capitali, di somme ricevute dai debitori sociali“.
Questi elementi porterebbero a ritenere che l’amministratore di condominio che prelevi fondi dalle casse condominiali per ottenere il rimborso di anticipazioni effettuate in nome e per conto del condominio non commetta il reato di appropriazione indebita.
Secondo la giurisprudenza, anche l’intenzione di restituire la cosa escluderebbe il dolo specifico quando sia presente al momento dell’abuso del possesso e sia congiunto alla certezza della possibilità di resa (cfr. Cass. pen. 14-03-2005, n. 9992, secondo cui “A prescindere dalla circostanza che secondo i giudici del merito vi sono elementi certi, idonei a dimostrare che il …… non aveva alcuna intenzione di restituire le somme sottratte al …………………., si deve porre in rilievo che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – “l’intenzione di restituire il maltolto può far venire meno il dolo che informa il delitto di appropriazione indebita, solo a condizione che si manifesti al momento dell’abuso del possesso e sia accompagnata dalla certezza della possibilità di restituzione” (Cass. pen. sez. 2^, 2 febbraio 1977, Fiorillo, RV 136173).
Anche tali elementi, dunque, dovrebbero essere adeguatamente valutati nella complessiva ricostruzione della condotta dell’amministratore di condominio.
Occorre comunque ribadire che all’amministratore di condominio non è consentito versare le somme dei condomini su un unico conto personale di gestione.
Infatti, ai sensi dell’art. 1129, comma 7 c.c., “L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica“.
La violazione di tale obbligo integra la grave irregolarità che giustifica la revoca dell’amministratore.
Tuttavia, non sembra esservi è un automatismo tra l’illecito civile – consistente nella mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale – e la configuazione di una responsabilità penale per l’amministratore del condominio a titolo di appropriazione indebita.
Quest’ultima, infatti, dovrebbe essere esclusa nel caso in cui l’amministratore sia stato espressamente autorizzato dai condomini a versare le somme su un conto diverso da quello previsto dall’art. 1129, co. 7 c.c.
Infatti, secondo Cass. pen. Sez. II Sent., 17/10/2018, n. 57383, “L’amministratore di più condomìnii che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomìnii su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell’amministratore o ad esigenze dei condomìnii amministrati, in quanto tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento“.
Il momento di consumazione del reato di appropriazione indebita da parte dell’amministratore di condominio coincide con il passaggio di consegne.
Da ultimo, è necessario considerare che secondo la giurisprudenza il reato di appropriazione indebita non si consuma fintanto che l’amministratore di condominio rimane in carica.
Infatti, Cass. pen. Sez. II Sent., 15/01/2020, n. 19519 ha precisato che “Nel caso di appropriazione indebita di somme di denaro relative ad un condominio da parte di colui che ne sia stato amministratore, il reato si consuma all’atto della cessazione della carica, in quanto è in tale momento che, in mancanza di restituzione degli importi ricevuti nel corso della gestione, si verifica con certezza l’interversione del possesso. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, considerata la natura fungibile del denaro, sino alla cessazione dalla carica l’amministratore potrebbe reintegrare il condominio delle somme precedentemente disperse)“.
Va aggiunto che l’esame della giurisprudenza porta a ritenere che il momento della consumazione del reato possa essere spostato ancora in avanti e sino al momento del cosiddetto passaggio di consegne, quando l’amministratore uscente deve consegnare la cassa e la documentazione condominiale al suo successore.
Infatti, secondo Cass. pen. Sez. II, 20/06/2017, n. 40870, “Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa e, dunque, nel momento in cui l’agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. Qualora il reato sia contestato a carico dell’amministratore condominiale cessato dalla carica, in relazione alle somme di pertinenza del condominio detenute nomine alieno, il momento della interversione del possesso deve ritenersi coincidente con l’atto della consegna della cassa al nuovo amministratore, giacché l’imputato, non restituendo l’intero importo delle somme ricevute nel corso della sua gestione, in tal modo manifesta chiaramente la volontà di voler trattenere per sé parte delle somme legittimamente detenute, e non utilizzate (o non ancora utilizzate) per le spese di gestione del condominio“.
A conferma di tale impostazione, deve essere menzionata la giurisprudenza che considera integrato il reato di appropriazione indebita non solo con riferimento alla mancata restituzione di somme da parte dell’amministratore, ma anche in relazione alla condotta dell’amministratore uscente che ometta di consegnare al nuovo amministratore la documentazione contabile ed amministrativa del condominio, adempimento che per definizione viene svolto al momento del passaggio di consegne.
Infatti, secondo Cass. pen. Sez. II, 11/05/2016, n. 27363, “In tema di reati contro il patrimonio, il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, cioè nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. Alla luce di tanto, si intende perfezionato il delitto di appropriazione indebita della documentazione relativa al condominio da parte di colui che ne era stato amministratore, non nel momento della revoca dello stesso e della nomina del successore, ma nel momento in cui l’agente, volontariamente negando la restituzione della contabilità detenuta, si comporti “uti dominus” rispetto alla res. Analogamente, deve ritenersi che l’utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell’amministratore durante il mandato non determina l’interversione del possesso che si manifesta e consuma soltanto quando, terminato il mandato, le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore“.
Avv. Emanuele Nati