Dopo le pronunce con le quali è stata eliminata la predeterminazione delle mensilità dovute ai lavoratori illegittimamente licenziati e per i quali non sia più previsto il diritto alla reintegrazione (ossia quelli assunti dopo il 5 marzo 2015), che costituiva il vero “cuore” della riforma tanto cara al Premier Renzi, la Corte Costituzione ha appena inferto un ulteriore colpo mortale alle poche certezze che i datori di lavoro potevano ricavare dalla normativa vigente.
In effetti, per i lavoratori ai quali ancora si applica l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (ossia quelli assunti prima del 5 marzo 2015), la reintegrazione è dovuta (e non più solo “possibile”) in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo qualora il Giudice ravvisi che il fatto assunto a motivazione del licenziamento sia manifestamente insussistente.
Lo ha deciso ieri la Corte Costituzionale, parificando dunque il trattamento del licenziamento cd. “economico” illegittimo a quello del licenziamento disciplinare del quale venga rilevata la manifesta insussitenza del fatto posto a base del licenziamento.
E’ opinione di chi scrive che il Jobs Act debba essere definitivamente ripensato, perchè nasceva per introdurre delle certezze e si è trovato ad essere una normativa altrettanto rischiosa e soprattutto molto più costosa della precedente per i datori di lavoro.
Il prezzo che è stato pagato dal mondo del lavoro, ossia la divisione tra lavoratori “tutelati” e lavoratori più giovani che non lo sono non vale il vantaggio che si è ricavato dall’ennesima riforma raffazzonata della disciplina del licenziamento.
Avv. Sandro Campilongo