E’ ammissibile la prova testimoniale diretta a rendere esplicito e precisare il significato di una clausola contrattuale
I Fatti di causa
I promittenti acquirenti di un immobile convennero in giudizio i venditori sostenendo di essersi determinati al suo acquisto in virtù della presenza di una splendida veranda di mq 27.
Prima della stipula dell’atto pubblico, venne accertato che la veranda era abusiva e che non era stata presentata alcuna istanza di condono.
Pertanto, ritenendo che l’abuso rendesse nullo il preliminare, e che i promittenti venditori dovessero considerarsi inadempienti, i promittenti acquirenti dichiararono di esercitare la facolta’ di recesso ex articolo 1385 c.c., chiedendo altresi’ la condanna del mediatore alla restituzione della somma versata a titolo di provvigione.
I promittenti venditori convenuti dedussero che la veranda non era oggetto della compravendita, la quale comprendeva solo il terrazzino senza alcuna struttura, e che gli attori si erano resi inadempienti all’obbligo di stipulare il definitivo, non presentandosi davanti al notaio.
Le decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello
Il Tribunale accolse le domande attoree, ritenendo che la veranda fosse inclusa nell’oggetto della promessa di vendita, e che, quindi, l’averne taciuto ai promissari acquirenti la irregolarita’ giuridica integrasse grave inadempimento, tale da giustificare la risoluzione del contratto o il recesso unilaterale della parte adempiente, e condanno’ i promittenti venditori al pagamento del doppio della caparra versata e il mediatore alla restituzione della provvigione.
Invece, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, rigetto’ la domanda degli appellati e dichiaro’ il diritto degli appellanti di trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra, con l’argomentazione che dal tenore letterale del contratto preliminare risultava che la vendita riguardava, oltre i tre vani, il terrazzino di circa mq. 27, e non una veranda, e che il Tribunale, in forza del divieto di cui all’articolo 2722 c.c., non avrebbe dovuto ammettere la prova per testi diretta a provare circostanze contrarie al contenuto del patto scritto.
Ne’ aveva rilievo, secondo la Corte di Appello, la generica clausola contenuta nel preliminare, secondo cui l’immobile sarebbe stato trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, trattandosi di mera clausola di stile.
La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha accolto il ricorso dei promittenti acquirenti, ritenendo ammissibile la prova per testi che era stata ritenuta decisiva dal Tribunale, con l’argomento che essa non era intesa a smentire il contenuto della pattuizione contrattuale, ma solo a precisarlo, tenuto anche conto della clausola contrattuale secondo la quale l’immobile de quo sarebbe stato trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava.
Secondo la Cassazione, infatti, “i limiti legali di ammissibilita’ della prova orale non operano quando la stessa sia diretta non gia’ a contestare il contenuto di un documento, ma a renderne esplicito il significato; in particolare il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’articolo 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, mentre non investe la prova diretta ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti (v., ex aliis, Cass., sent. n. 4601 del 2017).
Nella specie, si poneva con particolare forza il problema di chiarire il contenuto della pattuizione, soprattutto alla luce della clausola, contenuta nel contratto, secondo la quale l’appartamento di cui si tratta sarebbe stato trasferito “nello stato di fatto e di diritto in cui si trova”, clausola che, come rilevano i ricorrenti, evocava modifiche strutturali. E, dunque, correttamente il giudice di prime cure, non essendosi limitato, in ossequio ai criteri ermeneutici legali di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., all’esame del dato formale risultante dal tenore letterale del contratto, ove si faceva riferimento ad un terrazzino, ma avendo valutato la predetta clausola, e valorizzato il comportamento delle parti, ed in particolare della parte venditrice – che aveva mostrato ai promittenti acquirenti l’appartamento fornito di veranda, senza comunicarne la natura abusiva – ritenne la necessita’ di procedere all’approfondimento istruttorio testimoniale, dal quale egli trasse il convincimento del peculiare interesse degli acquirenti alla veranda, che si poneva come elemento essenziale della formazione del consenso, e del legittimo affidamento dei promissari acquirenti sulla inclusione nella vendita della veranda, invece risultata caratterizzata da irregolarita’ urbanistica“.
Avv. Emanuele Nati