Sommario: I. Il decreto-legge emergenziale n. 11/2018 ed il decreto «Cura Italia» n. 18/2020. – II. La messa al bando dell’udienza telematica nel processo amministrativo. – III. Una diversa ipotesi ricostruttiva e le obiezioni ad essa. – IV. Le ragioni del «no» e del «sì» all’udienza telematica – V. Riflessioni conclusive.
I. Il decreto-legge emergenziale n. 11/2018 ed il decreto «Cura Italia» n. 18/2020
L’art. 3, comma 5, del D.L. 8 marzo 2020 n. 11 («Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria») aveva inizialmente introdotto l’udienza telematica nel processo amministrativo, sia pure come mera possibilità organizzativa a disposizione dei presidenti titolari delle Sezioni del Consiglio di Stato, del presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nonché dei presidenti dei Tribunali Amministrativi Regionali e delle relative Sezioni staccate.
L’istituto andava a collocarsi nell’insieme delle disposizioni processuali introdotte dall’art. 3 del D.L. citato, destinato a dettare «Misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia amministrativa».
Nel comma 4 dell’art. 3 si prevedeva che fino al 31 maggio 2020, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, dovessero passare in decisione sulla base degli atti (c.d. «decisione sugli scritti»), a meno che una delle parti non avesse richiesto la discussione in udienza camerale o in udienza pubblica mediante notificazione alle altre parti di apposita istanza scritta e successivo deposito di questa presso l’organo giurisdizionale.
A mente del successivo comma 5 si prevedeva che, qualora effettivamente fosse stata richiesta la discussione ai sensi del testé citato comma 4, i presidenti titolari anzidetti avessero la facoltà, «in ragione motivata della situazione concreta di emergenza sanitaria e in deroga a quanto previsto dal codice del processo amministrativo», di consentire mediante collegamenti da remoto lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali non implicanti la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti. Tali collegamenti avrebbero dovuto realizzarsi con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori alla trattazione dell’udienza, in ossequio al principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.) così come richiamato dal codice del processo amministrativo (art. 2 c.p.a.).
Lo svolgimento dell’udienza telematica era dunque contemplato come una possibilità effettiva del processo amministrativo, sia pure condizionata da due stringenti presupposti processuali. Uno positivo, ossia la richiesta di discussione avanzata da almeno un difensore; l’altro negativo, dovendosi in ogni caso escludere, in ragione del rito o per altre esigenze processuali, la necessità della presenza di soggetti diversi dai patrocinatori. Così, solo per esemplificare, tale modalità non avrebbe potuto trovare applicazione nel rito dell’accesso ai documenti amministrativi qualora l’amministrazione fosse stata rappresentata da un proprio dipendente a ciò autorizzato (art. 116, comma 3, c.p.a.), ovvero nelle svariate eventualità in cui fosse stata necessaria la comparizione di un ausiliario del giudice (commissario ad acta, C.T.U, perito, interprete, e via discorrendo).
Tale modalità di udienza era comunque subordinata anche a due presupposti ulteriori, potremmo dire extraprocessuali, sempre previsti dal citato art. 3, comma 5: uno di tipo strettamente tecnico e sinceramente ridondante, occorrendo in ogni caso garantire la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della giustizia amministrativa e dei relativi apparati; l’altro di indole organizzativa, frutto della tralaticia logica dei «saldi invariati» (chissà poi perché, visto che in una fase di emergenza i cordoni della borsa non possono che allentarsi), dovendo la misura in questione contenersi nei limiti delle risorse assegnate ai singoli uffici.
Il menzionato comma 5 dettagliava altresì: i) le modalità di comunicazione dell’udienza telematica alle parti, sia pure in modo elastico e senza termini dilatori tassativi, prescrivendo che fosse dato «congruo avviso dell’ora e delle modalità di collegamento»; ii) i contenuti minimi del processo verbale di udienza telematica, prevedendosi l’obbligo di descrivere in esso le modalità di accertamento dell’identità dei soggetti partecipanti e della libera volontà delle parti, accanto all’ovvia illustrazione di tutte le operazioni compiute.
La norma accoglieva infine un più estensivo concetto di «aula di udienza», qualificando come tale a tutti gli effetti di legge, e segnatamente – si può ipotizzare – ai fini dell’esercizio dei poteri presidenziali di ordine e di polizia dell’aula, il luogo da cui si sarebbero collegati i magistrati, il personale addetto e i difensori delle parti.
È bene insistere nel sottolineare che l’udienza telematica rimaneva, nell’impianto normativo dell’11 marzo 2020, una semplice opzione priva di cogenza: l’udienza pubblica si sarebbe sempre potuta celebrare secondo le modalità tradizionali in presenza, sia pure a porte chiuse, fino al 31 maggio 2020, in deroga all’articolo 87, comma 1, del c.p.a (così il comma 6 dell’art. 3 qui in esame). Evidentemente, alla data di adozione del decreto si immaginava che il distanziamento sociale potesse risultare di per sé sufficiente a garantire le indispensabili condizioni di sicurezza nella celebrazione delle udienze, con conseguente sacrificio del solo canone della pubblicità delle stesse (donde il prescritto vincolo delle «porte chiuse»).
Il quadro viene a mutare profondamente con l’introduzione del nuovo art. 84, comma 11, del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, cosiddetto «Cura Italia». Il comma in questione abroga l’intero art. 3 del D.L. n. 11/2020, e pertanto anche il comma 5 sopra esaminato, senza reintrodurre una disciplina diversa – ed ancora più compiuta, come pure appariva auspicabile – dell’udienza telematica o «da remoto». I vari commi dell’art. 84, che pure disciplinano analiticamente per fasce temporali il «processo amministrativo dell’emergenza», neppure accennano alla possibilità di svolgere udienze telematiche, ribaltando completamente e repentinamente la filosofia di profonda innovazione sottesa al testo normativo approvato appena una settimana prima, o poco più.
Si compie perciò un passo indietro che, al netto delle scontate critiche di miopia e persino di misoneismo che potrebbero indirizzarsi al legislatore d’urgenza, risalta agli occhi dell’interprete come un’occasione perduta per promuovere l’ulteriore efficientamento del sistema della giustizia amministrativa; obiettivo comune dal quale gli attori processuali, così come i cittadini, le imprese e le stesse amministrazioni pubbliche, non dovrebbero mai deflettere.
II. La messa al bando dell’udienza telematica nel processo amministrativo
La ragione per così dire «normativa» che ha prodotto l’abbandono – sperabilmente solo temporaneo – dell’udienza telematica nel processo amministrativo è da ricercare, puramente e semplicemente, nella scelta del Governo di generalizzare il regime della «decisione sugli scritti» fino al 30 giugno 2020, sia pure «a due velocità»: facoltativamente in un primo momento, obbligatoriamente in una seconda fase. Poiché si è preferito non celebrare più udienze, almeno non nel senso tecnico del termine come tra breve meglio si dirà, è venuta automaticamente meno l’esigenza di disciplinare una «udienza telematica» incentrata sui collegamenti da remoto dei giudici e dei difensori.
I lineamenti del «processo amministrativo dell’emergenza» introdotto dal «Cura Italia» mi inducono a ritenere che siamo oggi in presenza di un assetto processuale largamente «extracodicistico», in quanto improntato a significative deroghe alle previsioni del codice del processo amministrativo del 2010.
Limitando l’esame agli aspetti strettamente pertinenti al presente contributo, valga osservare quanto segue.
a) In base all’art. 84, comma 2, del D.L. n. 18/2020, nel periodo dal 6 aprile al 15 aprile 2020 le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ove ne facciano congiuntamente richiesta tutte le parti costituite. In difetto di suddetta richiesta delle parti opera la disciplina recata dal comma 1 dell’art. 84: le udienze pubbliche e camerali dei procedimenti pendenti sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020; i procedimenti cautelari, invece, sono decisi con decreto monocratico secondo il rito regolato dall’art. 56 c.p.a., con trattazione collegiale fissata a data successiva all’11 maggio 2020 (nel testo originario, sempre 15 aprile 2020).
b) In base all’art. 84, comma 5, del decreto in argomento, nella fascia temporale compresa tra 16 aprile 2020 ed il 30 giugno 2020 tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio con decisione in forma semplificata. In tal modo il meccanismo della decisione sugli scritti da facoltativo (a richiesta) viene trasformato in obbligatorio, con conseguente, radicale elisione del contraddittorio orale.
Ma il dato di fondo davvero rilevante, come poc’anzi anticipato, è che in nessuna delle due fasi sopra descritte si celebra una «udienza» che possa definirsi tale nel significato tecnico-giuridico che la tradizione dottrinale ci ha consegnato.
Il motivo di tale opinamento è presto detto.
Nel linguaggio processuale, l’«udienza» è l’attività relazionale tipica del magistrato e da questi svolta nell’esercizio delle sue funzioni, talora in forma solenne (si pensi all’uso della toga). Tale attività si concreta nell’incontrare, in luogo e tempo predeterminati, le parti processuali. Non per nulla la dottrina classica definisce l’«udienza» come «il periodo di tempo durante il quale il giudice siede per rendere giustizia in una sala della sede dell’ufficio giudiziario a ciò destinata», prendendo contatto con le parti processuali e/o con i loro rappresentanti (V. Caianiello). La radice etimologica dell’udienza è da ricercare nell’«audire», ossia nell’«ascoltare» le parti. Se ciò non accade, se cioè non è ammessa la discussione orale dei difensori avanti al giudice, non c’è alcuna udienza. Per dirla altrimenti, i giudici che si riuniscono senza incontrare i difensori non «tengono udienza», ma si confrontano al loro interno allo scopo di esaminare e discutere le cause onde deliberare i conseguenti provvedimenti (il che di regola avviene previa acquisizione delle considerazioni del giudice relatore).
Ora, nel contesto del nuovo giudizio amministrativo emergenziale disegnato dall’art. 84, commi 2 e 5, del D.L. n. 18/2020, alle parti processuali non viene assegnato alcun ruolo che possa propriamente rilevare nella fase dell’«udienza». Fino all’11 maggio 2020 ad esse è riconosciuta la sola possibilità di chiedere la decisione sugli scritti. Nella fascia temporale 12 maggio – 30 giugno 2020 la decisione sugli scritti diviene addirittura inevitabile ed il contraddittorio è assicurato unicamente nella sua forma telematico-cartolare (fortunatamente con la sospensione, fino a tutto giugno, dell’incomprensibile balzello rappresentato dalla copia cartacea d’obbligo); infatti i patrocinatori possono esercitare la sola facoltà di presentare brevi note sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione.
Sembra dunque lecito concludere che fino al 30 giugno di quest’anno, a normativa invariata, non si terranno udienze, ma semplici camere di consiglio che potremmo definire «interne» (ove si ponga l’accento sul profilo strutturale, ossia sulla partecipazione ad esse dei soli componenti del collegio giudicante), ovvero «deliberanti» (privilegiando stavolta il profilo funzionale, che è quello del decidere). Quando cioè le circostanze lo richiedano, a tali sedute camerali prendono parte i soli giudici chiamati a confrontarsi «da remoto» sui provvedimenti da assumere (ordinanze cautelari o di altro tipo, sentenze di rito, sentenze di merito), con la collaborazione (sempre prestata in via telematica) del segretario di «udienza». Dispone al riguardo l’art. 84, comma 6, del decreto «Cura Italia» che la deliberazione dei componenti del collegio giudicante in camera di consiglio, «se necessario», ha luogo avvalendosi di collegamenti da remoto. Proprio in quest’ottica, continua la previsione riecheggiando il già divisato ed abrogato art. 3, comma 5, del D.L. n. 11/2020 (riferito però alle udienze pubbliche), «Il luogo da cui si collegano i magistrati e il personale addetto è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge».
III. Una diversa ipotesi ricostruttiva e le obiezioni ad essa
Occorre a questo punto domandarsi se realmente ed ineluttabilmente il D.L. dello scorso 18 marzo – prescindendo dal non ineccepibile linguaggio normativo – releghi l’udienza telematica a modulo processuale non più praticabile nel processo amministrativo.
Il dubbio è più che plausibile, se si rivolge l’attenzione ai commi 3 e 4 dell’art. 84 qui in disamina.
Il comma 3 dispone che per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giurisdizionale e consultiva, a decorrere dal 8 marzo 2020 e fino al 30 giugno 2020 ai presidenti titolari delle Sezioni del Consiglio di Stato, al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ed ai presidenti dei Tribunali amministrativi regionali e delle relative Sezioni staccate, sentiti l’autorità sanitaria regionale e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati della città ove ha sede l’Ufficio, è consentito adottare, in coerenza con le eventuali disposizioni di coordinamento dettate dal presidente del Consiglio di Stato o dal segretariato generale della giustizia amministrativa, «le misure organizzative, anche incidenti sulla trattazione degli affari giudiziari e consultivi, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, e le prescrizioni impartite con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri emanati ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, al fine di evitare assembramenti all’interno degli uffici giudiziari e contatti ravvicinati tra le persone».
Ai sensi del successivo comma 4, lettera d), i provvedimenti di cui al comma 3 possono anche consistere nella «adozione di direttive vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze, coerenti con le eventuali disposizioni dettate dal presidente del Consiglio di Stato». Compare perciò un riferimento espresso alle «udienze»; più precisamente, rientra nei poteri dei presidenti dei diversi organi giurisdizionali amministrativi stabilire come si devono «trattare» le udienze, pubbliche o camerali che siano, conformandosi alle linee organizzative eventualmente impartite dagli uffici apicali del Consiglio di Stato.
Se si guarda alla previsione per quello che essa testualmente «concede» ai presidenti, il margine di manovra organizzativo appare in linea di principio molto ampio. Potrebbe teoricamente ritenersi, pertanto, che l’opzione in favore dell’udienza telematica, pur non considerata in termini espliciti, rimanga comunque accessibile.
Sposando una siffatta lettura, il comma 4 dell’art. 84 si risolverebbe in una sorta di deroga al regime della decisione generalizzata ed obbligata sugli scritti di cui al successivo comma 5, come tale atta a recuperare un minimo di contradditorio orale attraverso le apposite misure organizzative a ciò rivolte. Non si può però sottacere che una siffatta prospettazione ermeneutica, per quanto meritoria nel tentare appunto di ripristinare l’oralità all’interno del rapporto processuale, presta il fianco a diverse argomentazioni ostative. Tra di esse, due appaiono particolarmente convincenti: la prima di ordine testuale, la seconda derivante dalla pratica processuale.
Anzitutto non si può trascurare il perentorio tenore dell’art. 84, comma 5, che utilizza l’indicativo presente («Successivamente al 15 aprile 2020 e fino al 30 giugno 2020 (…) tutte le controversie fissate per la trattazione (…) passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati (…)»). Come noto, l’indicativo presente rappresenta nel linguaggio normativo il tempo del «comando» e dell’obbligo, non certo quello della facoltà e della possibilità. Il voluto normativo è chiaro nell’interdire radicalmente la discussione orale, anche nelle forma telematica.
V’è in secondo luogo da considerare la recente prassi adottata dal giudice amministrativo, alla quale va riconosciuta una innegabile forza precettiva in quanto tradottasi in processo «vivente». In questo ambito la pregevole direttiva esplicativa del Presidente del Consiglio di Stato prot. int. 1454 del 19 marzo 2020, presentata sul sito istituzionale della giustizia amministrativa con il titolo di «Primi chiarimenti del Presidente del Consiglio di Stato sulle disposizioni introdotte dall’art 84, d.l. 17 marzo, n. 18» e finalizzata ad assicurare un’applicazione omogenea della normativa emergenziale introdotta dall’art. 84 in parola, conferma incontrovertibilmente la «messa al bando» dell’udienza telematica. Nell’incipit del punto 3.3, in aderenza al dettato normativo, si ribadisce l’esclusione della discussione orale per le cause calendarizzate dal 16 aprile al 30 giugno 2020. In chiusura del medesimo punto la Direttiva prevede poi che «L’udienza si svolgerà in ogni caso con la presenza del segretario di udienza (ma anche senza il commesso) che chiamerà le cause e redigerà il verbale. Anche il segretario di udienza può lavorare da remoto».
Come si vede, si continua a chiamare «udienza» ciò che udienza non è, probabilmente per ragioni di coerenza disciplinare e di correttezza istituzionale; ragioni che comprensibilmente inducono i presidenti dei massimi organi giurisdizionali, e nel caso di specie il presidente del Consiglio di Stato, a mantenersi il più possibile in aderenza al linguaggio normativo, per quanto approssimativo questo sia.
Molto appropriatamente, peraltro, il successivo punto 6.1 della direttiva evita di utilizzare il termine «udienza» per descrivere il «contatto telematico» tra i soli giudici. Vi si stabilisce che le camere di consiglio decisorie (e questa è la reale natura delle riunioni riservate ai componenti del collegio) possono essere effettuate con collegamenti da remoto, utilizzando qualsiasi modalità (videoconferenza o audioconferenza), purché sia garantita la collegialità. Sono naturalmente escluse le modalità di comunicazione asincrona, quale ad esempio lo scambio di messaggi di posta elettronica, ed è opportunamente prescritto che in calce al dispositivo del provvedimento collegiale sia indicata, tra l’altro, la modalità di collegamento da remoto concretamente prescelta.
In questo quadro precettivo «a doppio livello» (decreto-legge imperativo e direttiva presidenziale di «soft law»), come più volte rimarcato, l’udienza telematica sembra completamente estromessa dal «processo amministrativo dell’emergenza». Né essa è stata reintrodotta dall’ultimo decreto d’urgenza in ordine di tempo, il D.L. 8 aprile 2020 n. 23 (c.d. decreto «Liquidità»), che si è limitato a sospendere i termini di notificazione dei ricorsi fino al 3 maggio 2020 (art. 36, comma 2).
Eppure, se si scava tra le sagge indicazioni rese dal presidente del Consiglio di Stato, una sorta di embrionale ed informale udienza telematica risulta di fatto autorizzata nelle maglie della fase cautelare a regime monocratico.
L’art. 4, punto 3, n. 4) della direttiva presidenziale, sfruttando sapientemente i modesti spazi operativi consentiti dall’art. 84 del «Cura Italia», dispone che in sede di applicazione del rito monocratico di cui all’art. 56 c.p.a.«è possibile una previa audizione delle parti senza formalità, per iscritto o con collegamento da remoto». L’apertura è preziosa e non è affatto fuori misura, considerando l’elevato tasso di informalità che già caratterizzava il rito cautelare monocratico pre-emergenziale, nella prassi spinto fino al punto di avallare contatti persino telefonici tra magistrato e difensori. Non si dimentichi infatti che a norma dell’art. 56, comma 2, c.p.a., «Ove ritenuto necessario il presidente, fuori udienza e senza formalità, sente, anche separatamente, le parti che si siano rese disponibili prima dell’emanazione del decreto».
Sennonché la disposizione organizzativa, e non certo per responsabilità della sua autorevole fonte, genera un assetto complessivo profondamente insoddisfacente: i difensori possono giovarsi del collegamento da remoto unicamente in vista delle decisioni cautelari monocratiche, che rappresentano provvedimenti comunque precari e provvisori in quanto esigono una successiva valutazione del collegio; il contraddittorio orale rimane invece precluso in vista delle sentenze di merito, ossia dei provvedimenti volti a dirimere definitivamente la lite nel grado di giudizio interessato. Si è al cospetto, pertanto, di un’incongruenza – beninteso, derivante non dalla direttiva citata bensì da un discutibile impianto normativo a monte di essa – che richiederebbe una pronta ed attenta rimeditazione da parte del legislatore nella direzione del pieno ripristino del contraddittorio orale, sia pure su un piano di mera facoltatività.
IV. Le ragioni del «no» e del «sì» all’udienza telematica
Qualche notazione va ora dedicata alle ragioni pratiche che potrebbero aver influito sulla soluzione, adottata dal Governo, di mettere all’indice l’udienza telematica nel processo amministrativo, potenziando il contraddittorio scritto ed optando per asciugare al massimo il processo decisionale del giudice.
Secondo le prime ipotesi circolate, sembra aver avuto un certo peso l’esigenza di lasciare agli organi giurisdizionali amministrativi (in particolare ai T.A.R. distribuiti sul territorio) il tempo di dotarsi della strumentazione tecnica necessaria per gestire efficientemente i collegamenti da remoto. Tuttavia tale motivazione non persuade del tutto, posto che il collegamento da remoto costituisce una modalità puntualmente codificata per le camere di consiglio in cui i giudici discutono e deliberano i singoli provvedimenti, con conseguente necessità di espletare sin da subito le «sedute camerali telematiche» (vedasi l’art. 84, comma 6, del «Cura Italia»). Se, in funzione di tale adempimento, devono essere rapidamente apprestati (ed anzi, non possono non essere apprestati) strumenti tecnici per consentire ai giudici di riunirsi da remoto tra di loro, non si vede perché tale apparato informatico non dovrebbe essere utilizzato per lo svolgimento di udienze telematiche con la partecipazione, sempre da remoto, dei difensori delle parti che lo vogliano e ne abbiano la capacità sul piano della personale attitudine e delle attrezzature presenti nel proprio studio legale.
In sostanza, la scelta normativa ha poco senso considerando che i collegamenti da remoto tra i magistrati devono comunque essere assicurati senza ritardi. D’altra parte il plesso della giurisdizione amministrativa dispone di un proprio SIGA (sistema informativo della giustizia amministrativa) che ha dato ottima prova di sé nel costruire, con gradualità ma con risultati oggi più che apprezzabili, un processo amministrativo telematico ormai operante a piano regime sin dal 1 gennaio 2017.
Si aggiunga che l’udienza telematica, come più volte segnalato, era già contemplata nel D.L. n. 11/2020 quale possibile, ma non necessitata, misura organizzativa, alla cui adozione ben si sarebbe potuto soprassedere fintanto che gli apparati informatici dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato non fossero stati pronti alla imponente sfida del momento. Si poteva anche concedere che all’indomani di tale decreto alcuni studi legali non fossero essi stessi attrezzati compiutamente per le «tele-udienze». Sennonché, al di là del fatto che ragionevolmente i competenti Consigli degli Ordini degli avvocati sarebbero stati sentiti prima di ogni decisione operativa e che molti avvocati già da tempo utilizzano per le videoconferenze le piattaforme telematiche gratuite rese disponibili da Microsoft, da Google o da Zoom, tutti noi disponiamo ormai di almeno di un device che naviga sul web da mobile. Inoltre, negli studi professionali (ma spesso anche nelle abitazioni private dei professionisti) è per forza di cose disponibile almeno un personal computer con cui collegarsi alla rete per gestire gli adempimenti legati al processo amministrativo telematico (PAT). Comunque, per fronteggiare le ipotesi residuali di maggiore difficoltà «tecnologica» si sarebbe potuta perpetrare la facoltà del difensore di far valere le sole difese scritte, salva diversa valutazione del giudice e con l’individuazione – in tal caso – delle opportune e più sicure modalità per ovviare all’inconveniente, contemperando le esigenze del contraddittorio con quelle della salute di giudici, avvocati e personale degli uffici giudiziari amministrativi.
Né, ancora, appare secondario osservare come molte realtà organizzative pubbliche del nostro Paese, facendo di necessità virtù, si sono rapidamente attrezzate sul piano informatico per fronteggiare l’emergenza Covid-19, così dimostrando che il risultato di efficienti riunioni virtuali è comunque raggiungibile in tempistiche assai contenute. Il pensiero va, solo per additare un virtuoso esempio, allo svolgimento della teledidattica da parte delle scuole e degli atenei. Non si vede perché non si possa fare altrettanto, fino al 30 giugno, anche per la giustizia amministrativa. Tanto più che un valido volano esperienziale si va concretamente prefigurando: non soltanto i magistrati amministrativi già effettuano normalmente i collegamenti da remoto per riunirsi tra loro, ma per le decisioni cautelari monocratiche un’apertura al contatto da remoto tra giudice e parti è già contenuta, come detto, nella lodevole direttiva del presidente de Consiglio di Stato del 19 marzo 2020.
Alle superiori considerazioni se ne può aggiungere un’altra, che attiene stavolta al possibile arretramento che il sistema della giustizia amministrativa rischia di subire rispetto alle altre giurisdizioni.
L’art. 83 del D.L. «Cura Italia», rubricato «Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare» reca una norma, il comma 6, che contenutisticamente somiglia molto al già esaminato art. 84, comma 3. Secondo tale comma 6, per il periodo compreso tra il 16 aprile ed il 30 giugno 2020 i capi degli uffici giudiziari, al fine di contrastare l’emergenza Covid-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, possono adottare le misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, che risultano necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dalle autorità competenti. Il successivo comma 7 elenca le misure che i capi dei soli uffici giudiziari civili (quindi, non di tutte le magistrature di cui in rubrica, restandone escluse quella penale, quella tributaria e quella militare) possono adottare al fine di perseguire le finalità anzidette. Tra queste è espressamente individuata, alla lettera f), «la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia».
La lettera f) introduce una disciplina molto solida e ben strutturata, pur nella sua stringatezza. Essa: i) appresta in via generale le idonee garanzie di «giusto processo» nel rispetto del noto canone «audiatur et altera pars», disponendo che l’udienza sia comunque svolta «con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti»; ii) regola in modo snello e pragmatico gli adempimenti informativi preliminari, precisando che «Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti e al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento»; iii) disciplina per grandi linee l’attività di verbalizzazione, in termini analoghi a quanto già previsto dal decreto dell’8 marzo (cfr. art. 3, comma 5). In questo contesto, una particolare e condivisibile cautela circonda la posizione delle parti in quanto soggetti chiamati ad esprimere una volontà realmente «libera», scevra cioè da ogni coartazione e condizionamento. Si prevede infatti che in sede di udienza «il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale».
Come perciò si vede, nel processo civile l’udienza telematica è divenuta una realtà normativamente accettata e tutto sommato discretamente regolata, per quanto abbisognevole di affinamenti procedurali ed organizzativi nella fase post-emergenziale.
Un regime analogo è stato introdotto per la giurisdizione contabile. L’art. 85 del D.L. n. 18/2020 («Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia contabile») prevede, al comma 2, che per gli scopi ormai noti (contrastare l’emergenza epidemiologica e contenerne gli effetti sulle attività istituzionali), a decorrere dall’8 marzo 2020 e fino al 30 giugno 2020 i vertici istituzionali degli uffici territoriali e centrali della Corte dei conti adottino le necessarie misure organizzative. In base al successivo comma 3, lettera e), i provvedimenti di cui al richiamato comma 2 possono recare «la previsione dello svolgimento delle udienze che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti, ovvero delle adunanze che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai rappresentati delle amministrazioni, mediante collegamenti da remoto, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione all’udienza ovvero all’adunanza, anche utilizzando strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi o con ogni mezzo di comunicazione che, con attestazione all’interno del verbale, consenta l’effettiva partecipazione degli interessati».
In questo quadro generale, sul versante normativo la giustizia amministrativa ha vissuto uno «stop and go»di difficile decifrazione: il D.L. «Cura Italia» n. 18/2020 ha inaspettatamente interrotto un percorso già avviato con il D.L. n. 11/2020, generando uno «stato di eccezione» che per la giurisdizione amministrativa davvero non aveva ragione di essere, tanto meno dopo svariati anni di vita del processo telematico. Il successivo D.L. «Liquidità» n. 23/2020, che poteva agevolmente rimediare all’inconveniente semplicemente mutuando la disciplina dell’udienza telematica civile (art. 83, comma 7, lett. f) del «Cura Italia»), ha scelto la strada di un «rumoroso» silenzio sul punto.
V. Riflessioni conclusive
Siano a questo punto consentite tre brevi riflessioni conclusive.
La prima. Si vuole qui prescindere da ogni dissertazione – che comunque andrà prima o poi affrontata – in termini di legittimità costituzionale della disciplina qui in commento rispetto ai parametri del giusto processo (art. 111 Cost.) e della effettività della tutela dei diritti e degli interessi legittimi avanti al giudice amministrativo (artt. 24, 103 e 113 Cost.). Non si può però non sottolineare che l’estromissione acritica ed indiscriminata dell’avvocato da ogni forma di confronto verbale con i giudici è frutto di una valutazione governativa ben poco ponderata.
Appare innegabile che il processo amministrativo è per tradizione, e rimane largamente anche ai giorni nostri, un processo eminentemente documentale, basato cioè «sulle carte», in quanto polarizzato verso una verifica di legittimità dei provvedimenti dell’autorità condotta attraverso la revisione giudiziale dell’istruzione e della decisione amministrativa. È altrettanto vero, tuttavia, che il codice del 2010 ha ampliato notevolmente il novero delle azioni processuali (l’azione costitutivo-demolitoria è ora soltanto una delle molteplici azioni esperibili), recependo allo stesso tempo la tendenza ad assicurare il pieno «accesso al fatto» da parte del giudice amministrativo (tendenza a dire il vero già barlumata nella mini-riforma operata con la legge n. 205/2000 ma definitivamente consolidatasi nel ventennio successivo). Se quindi si tiene presente l’attuale stadio evolutivo del nostro processo, l’apporto del difensore nel contraddittorio orale di udienza non è irrilevante, e la prassi lo dimostra: non di rado sono gli stessi componenti del collegio giudicante, per il tramite del presidente e talora dello stesso relatore, a sollecitare i difensori a discutere la causa nonostante i medesimi, nel corso delle c.d. istanze preliminari di udienza, abbiano concordemente richiesto di poter introitare la decisione sugli scritti.
L’invito rivolto ai difensori perché diano un contributo di chiarimento alle difese scritte serve evidentemente ai magistrati per meglio focalizzare i fatti e le implicazioni della causa, in vista anche di una più proficua e calibrata discussione interna tra loro sui profili di fatto e di diritto che siano davvero dirimenti per la distribuzione delle «ragioni» e dei «torti». Tali rilievi non solo avvalorano l’idea che il mero contraddittorio scritto risulta talvolta insufficiente per assicurare l’ottimale definizione della res litigiosa, ma rafforzano anche la vitalità dogmatica del principio chiovendiano di oralità che, sia pure nella nuova veste di «oralità telematica», merita di essere preservato quale possibilità sempre attingibile dalle norme processuali.
Oltretutto, poiché la tendenza generale – anticipata dal settore civile e replicata in quello contabile – è di abbracciare ormai con convinzione il modello dell’udienza telematica, sarebbe un peccato se a rimanere fuori dal coro fosse la sola giurisdizione amministrativa, ancora intralciata da una normativa conservatrice ed anacronistica che finisce per dequotare sensibilmente il ruolo dell’avvocato rispetto agli altri ambiti giurisdizionali.
Seconda riflessione. Com’è ovvio nell’emergenza quasi tutto è consentito, ma in un assetto sempre più caratterizzato dall’espansione delle tecnologie informatiche anche in ambito processuale occorrerà vigilare sulla piena indipendenza e non controllabilità del giudice da parte di apparati organici al Potere esecutivo. Già ad oggi, ad esempio, vengono in evidenza aspetti delicatissimi su cui meditare al fine di garantire che le sedute deliberanti dei magistrati al di fuori delle udienze accessibili alle parti e/o al pubblico possano trovare svolgimento secondo rigorosi criteri di riservatezza. Criteri che devono informare tanto lo svolgimento in sé della seduta, la quale deve rimanere impermeabile ad ogni tentativo di osservazione o ingerenza esterna, quanto l’espressione dei voti e delle opinioni di ciascun magistrato in conformità o in difformità dagli orientamenti dei colleghi («dissenting opinions»). La segretezza del convincimento del magistrato e della conseguente volontà individuale così come manifestata in fase deliberante va preservata come valore assoluto ed indeclinabile della funzione giurisdizionale, perché un giudice «telematicamente controllabile» è un giudice ricattabile e condizionabile. Questo vale per tutte le giurisdizioni ed ancor più per la giurisdizione amministrativa, che istituzionalmente controlla il potere pubblico e che perciò non deve mai essere da questo controllata.
E così, a presidio del corretto funzionamento e dell’omogeneità dei sistemi informatici delle varie giurisdizioni sarebbe forse utile immaginare un’Agenzia tecnica indipendente che possa auspicabilmente vedere la partecipazione, al suo interno, di componenti delle magistrature e del foro. Tale organismo, circondato dalle opportune cautele normative, potrebbe assumere i compiti organizzativi e di regolazione attualmente posti in capo al Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (il quale peraltro, ai sensi del comma 12 dell’art. 83 già visto, estende attualmente le sue competenze anche alle «sensibilissime» videoconferenze o collegamenti da remoto delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare nell’ambito dei procedimenti e dei processi penali).
Va da sé che i compiti in parola giammai potrebbero essere affidati al gruppo di esperti di cui all’art. 76 del «Cura Italia», destinati a costituire il «supporto digitale alla Presidenza del Consiglio dei ministri per l’attuazione delle misure di contrasto all’emergenza COVID-19». È vero che si è in presenza di un contingente di esperti dotato di elevata caratura tecnica, essendo «in possesso di specifica ed elevata competenza nello studio, supporto, sviluppo e gestione di processi di trasformazione tecnologica», che potrà efficacemente occuparsi della «introduzione di soluzioni di innovazione tecnologica e di digitalizzazione della pubblica amministrazione», così come specificato dal comma 1 del ridetto art. 76. Appare però dirimente rilevare che tale contingente svolge una funzione di ausilio nei riguardi del presidente del Consiglio dei ministri (o del Ministro delegato) per concludere che si tratta di una struttura inequivocabilmente incardinata negli apparati del Potere esecutivo.
Tanto basta per sostenere l’assoluta inopportunità di affidare ad essa compiti che possano ingenerare anche soltanto il sospetto o il rischio potenziale di un’interferenza con l’organizzazione «tecnologica» degli uffici giudiziari amministrativi. Il giudice, secondo i noti insegnamenti di Aldo M. Sandulli e Sergio Panunzio, deve non solo essere, ma anche apparire imparziale di fronte al cittadino; e, quale precondizione istituzionale, deve risultare indipendente dal continuum Potere esecutivo-pubblica amministrazione, di modo che possa beneficiare senza ombre né riserve della fiducia dell’opinione pubblica.
Infine, una terza ed ultima riflessione, che attiene stavolta al «futuro» dell’udienza telematica quale modalità ordinaria di relazione tra i soggetti del processo.
Si può ammettere che in termini umani il «contatto» personale che ha luogo tra giudice e difensore costituisca uno dei momenti più qualificanti del processo amministrativo così come del processo in generale. D’altra parte l’esperienza dell’udienza è sempre stata, per tutti gli avvocati di ogni generazione, un momento irrinunciabile di crescita personale e di formazione professionale. Se però si abbandona ogni preconcetto puramente ideologico o – peggio – nostalgico si scorge che il momento storico impone semplicemente di ripensare la «forma» di tale contatto, non di perderlo.
Una volta tornati alla vita «ordinaria» potremo apprezzare la comodità di un’udienza che, mezzi tecnologici permettendo ed ancor di più con le potenzialità del 5G, consentirà notevoli risparmi di tempo sia per i giudici che per i difensori. I primi avranno la possibilità di minimizzare i «tempi morti», accrescendo così la propria produttività anche nella prospettiva costituzionalmente imposta della ragionevole durata dei giudizi. I secondi non saranno più costretti a muoversi dai propri studi e ad affrontare vere e proprie trasferte, come non di rado accade, per raggiungere i T.A.R. o il Consiglio di Stato nel centro storico di Roma. Dispiacerà forse non godere delle meraviglie di Palazzo Spada, ma lo si potrà fare nel tempo libero o fruendo della visita virtuale presente online. Lo stesso vale per le relazioni amicali tra colleghi del foro: queste potranno sempre essere coltivate, persino più intensamente, fuori dal contesto professionale.
Tutti gli attori del processo, ivi compresi gli ausiliari del giudice e lo stesso personale delle segreterie, conquisteranno quote aggiuntive di quel «bene tempo» che parte della giurisprudenza amministrativa ha elevato a «bene della vita» (C.G.A., 4 novembre 2010 n.1368; Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2011 n. 1271; Id., Sez. V, 21 marzo 2011 n. 1739; Id., Sez. III, 31 gennaio 2014 n. 468; Id., Sez. V, 10 febbraio 2015 n. 675), potendo così dedicarle ai doveri, agli affetti ed a tutte quelle attività del quotidiano che troppo spesso vengono vissute con eccessiva frenesia ed ansia. In ultimo, ne guadagneranno in vivibilità le nostre città, grazie alla riduzione dei volumi di traffico urbano alla quale potrà sicuramente contribuire anche la diffusione e stabilizzazione del modello telematico per tutti i processi.
Se la metodica dell’udienza telematica, grazie ad un’accurata ma al contempo urgente rielaborazione normativa, verrà prontamente sperimentata, affinata ed infine portata a regime con determinazione dai protagonisti della giurisdizione amministrativa, potremo presto conseguire questi ed altri vantaggi. Il nostro processo, che già oggi abitualmente denominiamo «PAT», vale a dire processo amministrativo telematico, potrà finalmente progredire verso un pieno stadio di maturità. Sarà così possibile consolidare e volgere al positivo quel patrimonio di competenze che anche la più dolorosa e drammatica delle esperienze può sempre lasciare in eredità a chi sappia riconoscerne il valore e l’utilità.
Roma, 9 aprile 2020 Prof. Avv. Stefano Tarullo
Università degli Studi della Campania «Luigi Vanvitelli»
Abstract
Muovendo dall’esame decreti-legge che, in occasione dell’emergenza epidemiologica «Covid-19», si sono susseguiti con riferimento alla disciplina del processo amministrativo, il contributo analizza criticamente la scelta normativa di escludere la celebrazione di una vera e propria udienza telematica in seno al D.L. «Cura Italia» n. 18/2020, in contraddizione con l’iniziale previsione dell’istituto nel D.L. n. 11/2020, di poco anteriore. Si evidenzia come il recupero dell’istituto non sia stato considerato neppure nell’ultimo D.L. «Liquidità» n. 23/2020. Il saggio rimarca l’importanza del contraddittorio orale nel processo amministrativo. Si conclude auspicando che il legislatore si orienti a breve per un ripensamento che consenta la celebrazione di una «udienza» propriamente detta anche nella forma, oggi necessitata ma a regime utilissima, del collegamento da remoto tra magistrati del collegio giudicante e difensori delle parti, così come già previsto per il processo civile e contabile.