Con la sentenza n. 24082 del 7 settembre 2021, la Corte di Cassazione si è resa artefice di una vera e propria interpretatio abrogans della normativa vigente, sia pure ratione temporis.
Infatti, il caso era quello della farmacista che aveva stipulato un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con il titolare di una farmacia, mentre lavorava part-time (ma come dipendente) presso altra farmacia.
Il titolare della farmacia aveva omesso gli adempimenti richiesti dalla legge in caso di stipula di contratti di collaborazione, ossia la comunicazione della instaurazione, la sua registrazione nel Libro Unico del Lavoro e la consegna al collaboratore di copia di tali comunicazioni.
La tesi sostenuta è che tali obblighi non sussistevano in quanto la farmacista era iscritta ad un albo professionale, e dunque non vi è un interesse pubblico al monitoraggio dell’attività lavorativa svolta per conto terzi.
Incredibilmente, la Cassazione ha avallato tale posizione, sostenendo che per gli scritti agli albi professionali non sussiste il rischio di elusione della normativa che regolamenta le assunzioni, tesa a prevenire il lavoro nero.
In realtà, a parere di chi scrive, la Corte di Cassazione non ha tenuto conto del fatto che quanto affermato vale solo quando un iscritto ad un albo professionale svolga in proprio una professione intellettuale (tra cui quella del farmacista).
Quando invece l’iscritto in un albo professionale decida di svolgere attività subordinata o parasubordinata, la tutela del lavoratore (dipendente o collaboratore), in nulla dovrebbe divergere rispetto a quella riconosciuta a tutti.
Avv. Sandro Campilongo