La Cassazione chiarisce quando l’onere della prova relativo all’esistenza ed alla forma scritta del contratto di conto corrente gravi sul cliente oppure sulla Banca nelle azioni di ripetizione d’indebito esperite dal cliente nei confronti della Banca, in relazione agli interessi anatocistici, agli interessi ultralegali ed alla Commissione di Massimo Scoperto.
1 – Il Fatto – L’azione di ripetizione d’indebito esperita dal cliente nei confronti della Banca per l’addebito di interessi anatocistici, di interessi ultralegali e della Commissione di Massimo Scoperto
Una società citava in giudizio la propria Banca chiedendo l’accertamento dell’addebito in conto corrente di somme non dovute per interessi, capitalizzazione trimestrale e commissioni di massimo scoperto e la conseguente condanna della banca al pagamento delle somme indebitamente pagate neo corso del rapporti di conto corrente.
Il Tribunale di Bari accoglieva la domanda e condannava la Banca al pagamento della complessiva somma di Euro 29.053,73, oltre interessi.
La Corte di Appello di Bari confermava la sentenza di primo grado.
2 – Il Ricorso in Cassazione
La banca ha presentato ricorso in Cassazione con l’unico motivo avente ad oggetto la violazione del principio dell’onere della prova ex articolo 2697 c.c., e degli articoli 115 e 116 c.p.c., oltre che della violazione del diritto di difesa di cui all’articolo 24 Cost.
Secondo la Banca, infatti, la Corte d’Appello avrebbe dovuto affermare il principio secondo il quale spetta all’attore (e, dunque, al cliente) che agisce in giudizio per la ripetizione delle somme di dare la prova relativa all’inesistenza della causa debendi. In altri termini, poiché l’azione si fondava sul contratto di conto corrente bancario e sulla sua esecuzione nel corso degli anni, era il cliente che doveva produrre in giudizio la copia del contratto e dei contratti di affidamento ad esso collegati, che il cliente non aveva depositato.
Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ritenuto che nei giudizi in materia di obbligazione, la prova incombe a chi si afferma creditore, e cio’ anche quando l’azione abbia ad oggetto l’accertamento negativo del credito. Peraltro, secondo la Corte d’Appello, la lacuna documentale non poteva configurarsi “essenziale ai fini della ricostruzione del rapporto, avendo la correntista esibito e prodotto gli estratti bancari, progressivamente rimessigli dalla banca ed attestanti l’applicazione delle clausole illecite“.
3 – La cassazione della sentenza impugnata e le ragioni della decisione
La Corte ha accolto il ricorso della Banca, chiarendo quando l’onere della prova sia a carico del cliente che chiede la restituzione delle somme indebitamente pagate a titolo di anatocismo, interessi ultralegali e Commissione di Massimo Scoperto e, quando, invece, deve ritenersi che tale onere debba essere posto a carico della Banca convenuta in giudizio.
Osserva la Suprema Corte che, in linea di principio, “Nella ripetizione di indebito incombe all’attore fornire la prova sia dell’avvenuto pagamento che della mancanza di causa debendi” e che ciò implica che “in tema di contratto di conto corrente bancario, il correntista che agisca per la ripetizione dell’indebito, tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi, e’ onerato di documentare l’andamento del rapporto con la produzione degli estratti conto, i quali evidenziano le singole rimesse che, per riferirsi ad importi non dovuti, sono suscettibili di ripetizione“.
Per quanto riguarda, invece, la prova dei contratti dai quali derivava – secondo il cliente – l’illegittima applicazione dell’anatocismo, degli interessi ultralegali e della CMS, la Cassazione chiarisce che:
1 – per quanto riguarda l’anatocismo, il problema della prova del contratto di conto corrente non si pone. Infatti, “a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’articolo 76, Cost., il Decreto Legislativo n. 342 del 1999, articolo 25, comma 3, il quale aveva fatto salva la validita’ e l’efficacia, fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al medesimo articolo 25, comma 2, delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole sono disciplinate – secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo -dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare sempre nulle in quanto stipulate in violazione dell’articolo 1283, c.c., perche’ basate su un uso negoziale, anziche’ su un uso normativo (Cass. Sez. U. 4 novembre 2004, n. 21095” [NDR: si tratta di fattispecie antecedente alla Delib. CICR 9 febbraio 2000].
2 – Invece, per quanto rigurada gli interessi ultralegali e la commissione di massimo scoperto, la Suprema Corte osserva come questi non siano vietati in senso assoluto, poiché possono essere contrattualmente pattuiti osservando il requisito della forma scritta a pena di nullità, ai sensi della L. n. 154 del 1992, articoli 3 e 4, dell’articolo 117 t.u.b., e dell’articolo 1284 c.c., comma 3 (applicabile agli interessi ultralegali nel periodo anteriore alla vigenza della disciplina introdotta dalle citate norme della legge sulla trasparenza bancaria e del testo unico bancario).
Pertanto, la Cassazione afferma che “se, infatti, gli interessi superiori al tasso legale e la commissione di massimo scoperto devono essere pattuiti per iscritto, il cliente avra’ l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati, mediante la produzione del contratto, giacche’ e’ attraverso tale documento che potra’ dimostrare l’assenza delle disposizioni che potrebbero giustificare l’addebito delle somme corrispondenti“.
Questo importante principio vale sempre quando nel giudizio le parti abbiano pacificamente ammesso la circostanza che il contratto dal quale discende l’applicazione degli interessi ultralegali e della CMS sia stato pattuito per iscritto.
Tuttavia, non è sempre così e vi sono casi in cui è invece la Banca ad avere l’onere di produrre in giudizio i documenti contrattuali, dimostrando che essi soddisfino il requisiti della forma scritta (tanto nella tradizionale forma carteca che in quella cosiddetta dematerializzata).
Secondo la Suprema Corte, tuttavia, la situazione muta radicalmente quando il cliente sostenga che il rapporto contrattuale sia stato concluso oralmente, ovvero per fatto concludente.
In questo caso, infatti, si possono verificare due ipotesi:
1 – Se la Banca riconosce che non esista un contratto scritto, “il giudice deve dare senz’altro atto dell’integrale nullita’ del negozio e, quindi, anche dell’assenza di clausole che giustifichino l’applicazione degli interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto“.
2 – Se, invece, la Banca sconfessa quanto indicato dal cliente ed eccepisce che il contratto è stato validamente concluso in forma scritta, sarà la Banca ad essere onerata di produrlo in giudizio.
Avv. Emanuele Nati