Come talvolta accade, la Suprema Corte si è appassionata ad un caso che – per quanto in sé tragico – non differisce da molti altri: successivamente ad un accertamento medico invasivo (toracentesi), una paziente subisce una emorragia toracica che ne determina la morte.
La questione giuridica è questa: la perizia medica con la quale si era concluso il giudizio di merito (negativamente per le parti attrici) aveva attestato l’impossibilità di accertare positivamente un nesso probatorio tra il primo intervento e l’emotorace massivo che ne sarebbe derivato.
Secondo la Corte di Appello, in applicazione del principio causale del “più probabile che non”, ciò costituiva motivazione adeguata a respingere la domanda.
Sulla scorta di tale antefatto, la Cassazione intraprende una vera e propria ricostruzione del principio causale, fondandosi ancora sui principi scientifici per quanto gli stessi non appaiano oggi sempre in grado di spiegare tutto, come il relativismo di Einstein insegna.
Ciò nondimeno, il Giudice deve affidarsi agli scienziati (in questo caso più prosaicamente ai CTU) per tentare di interpretare la realtà fenomenica.
Ciò vale però anche per respingere la domanda, nel senso che il principio del più probabile che non deve essere sempre applicato nel tentare di dare una risposta scientifica alternativa alla morte.
In sede di riesame, la Corte d’Appello dovrà chiamare verosimilmente di nuovo i periti medici per chiedere loro: se l’emorragia non è stata scatenata dall’esame medico, quali possono esserne le cause alternative?
In altri termini: è più probabile che l’emotorace sia derivato dalla toracentesi o da altra causa?
Da oggi in poi il compito dei periti e quello dei Giudici sarà meno semplice, in quanto dovranno cercare di rispondere alla domanda che troppo spesso riecheggia invano nei Tribunali: da cosa è dipesa, e soprattutto si poteva evitare quel danno o quella morte?
Avv. Sandro Campilongo