Diritto all’oblio. Le linee guida dettate dalla Cassazione. (Commento a Cass. Sez. I civile, Ordinanza 19/05/2020, n. 9147)

Diritto all’oblio. Le linee guida dettate dalla Cassazione. (Commento a Cass. Sez. I civile, Ordinanza 19/05/2020, n. 9147)

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Il diritto all’oblio, oggi di rinnovato interesse, è stato oggetto di una recente decisione della Corte Suprema di Cassazione la quale, con l’Ordinanza n. 9147 depositata il 19 maggio 2020 (qui allegata), ha rimarcato i principi già affermati dalle Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sui rapporti tra diritto all’oblio e diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero (Cass. civ. Sez. Unite, 22/07/2019, n. 19681).

In particolare, nel caso di specie è stato posto all’attenzione della Suprema Corte l’annoso tema del trattamento da riservarsi alla notizia di cronaca – ed ai dati personali della persona che si trovi ad esserne protagonista – che, oggetto di una prima pubblicazione ed eventualmente trasmigrata nell’archivio on-line della testata giornalistica, resti accessibile nel web senza limiti di tempo per l’intervenuta indicizzazione dei relativi contenuti dai motori di ricerca.

La pronuncia in commento ha peraltro tracciato le linee guida, ripercorrendone l’evoluzione storica, del diritto all’oblio inizialmente inteso quale diritto del singolo a non vedere pubblicata nuovamente una notizia in passato legittimamente divulgata e poi interpretato, con lo sviluppo di internet, quale diritto alla “protezione dei dati personali” e alla cancellazione dei dati che si ritengono lesivi della propria persona in quanto non più attuali.

Secondo la Suprema Corte occorre tenere ben distinto il diritto all’oblio dal diritto alla riservatezza, in quanto il diritto all’oblio – inteso come “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata” (Cass. 9/04/1998 n. 3679) – a differenza del diritto alla riservatezza, non è volto a precludere la divulgazione di notizie e fatti appartenenti alla sfera intima della persona e tenuti fino ad allora riservati, ma ad impedire che tali fatti, già legittimamente pubblicati e quindi sottratti al riserbo, possano essere rievocati nella rilevanza del tempo trascorso.

Il diritto ad essere dimenticati, pertanto, consiste nel diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, per la ripubblicazione, a distanza di tempo, di una notizia relativa a fatti commessi in passato o a vicende nelle quali si è rimasti in qualche modo coinvolti.

Come peraltro affermato da autorevole dottrina, condiviso dalla pronuncia in commento, il diritto all’oblio è “la naturale conseguenza della corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca” in virtù del quale, se non va diffuso in origine il fatto la cui divulgazione lesiva non risponde ad un reale interesse pubblico, allo stesso modo non deve essere riproposta o mantenuta, a distanza di tempo dalla prima pubblicazione, una vecchia notizia che, sia pure in origine lecitamente divulgata, non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.

Un ulteriore profilo dinamico del diritto all’oblio si connette inevitabilmente le tecnologie digitali e dei network globali dove i dati ivi presenti restano governabili attraverso una serie di poteri tipizzati tra i quali, oltre alla trasformazione, rettificazione, aggiornamento ed integrazione, vi rientrano pure la cancellazione ed il blocco.

In tale contesto si inserisce inevitabilmente la disciplina dettata in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003) adottata con lo specifico scopo di armonizzare le norme in materia di protezione dei dati personali per garantire un flusso libero dei dati e promuovere un elevato livello di tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, segnando, in tal modo, il fondamento positivo del diritto all’oblio all’interno della disciplina del trattamento dei dati personali per scopi giornalistici, di cui si stabilisce la non legittimità ove la conservazione dei dati avvenga “in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati”.

A tale previsione è correlato il diritto dell’interessato di conoscere, in ogni momento, chi possiede i suoi dati personali, come vengono utilizzati e di opporsi al loro trattamento, ovvero di ingerirsi al riguardo chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (Cass. Civ. 55525/2012; Cass. Civ. n. 13161/2016).

Da ultimo, il riferimento al diritto all’oblio è divenuto espresso con il Regolamento (EU) n. 679/2016 (c.d. GDPR) che, art. 17 introduce un espresso riferimento al diritto all’oblio e che nello stesso viene menzionato in altra disposizione relativa alla cancellazione dei dati personali.

La Suprema Corte ha dato poi conto della recente sentenza di Cassazione a Sezioni Unite n. 19681/2019, seppur chiarendo che l’intervento nomofilattico non è applicabile al caso di specie in quanto in quel caso i giudici dell’Alto Consesso si erano espressi in un caso di trattamento per riattualizzazione di una notizia di cronaca frutto di nuova opera editoriale.

Stante il diverso campo di indagine del caso di specie, la Suprema Corte ha peraltro richiamato il proprio precedente n. 5525/2012, con il quale ha riconosciuto che l’archiviazione on-line di articoli giornalistici per finalità storiche è lecita e di notevole importanza sotto il profilo documentaristico conservativo, a condizione che le informazioni trattate vengano sempre aggiornate e contestualizzate.

Pertanto, la Cassazione ha concluso riconoscendo che “Il trattamento dei dati personali non è qui affidato ad una nuova pubblicazione della notizia, per un prodotto editoriale diverso ed originale rispetto al primigenio, espressione del diritto di cronaca e di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), ma si attua attraverso la riproposizione o conservazione in rete della originaria notizia che resta sine die accessibile attraverso l’indicizzazione tramite i motori di ricerca”.

Ebbene, nel caso concreto, gli Ermellini hanno individuato il punto di bilanciamento tra il diritto del singolo all’oblio e quello della collettività all’informazione ritenendo che “il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma deve essere considerato in relazione alla sua funzione sociale ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, conformemente al principio di proporzionalità”, escludendo, pertanto, il diritto dell’interessato alla cancellazione allorchè il trattamento sia necessario all’esercizio del diritto relativo, in particolare, alla libertà di informazione, conformemente ai diritti sanciti dalla Carta Fondamentale dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza).

In conclusione, la Suprema Corte, dopo un’attenta ed approfondita disamina della giurisprudenza – anche comunitaria – in materia, accoglie il ricorso, cassando la sentenza impugnata dalla ricorrente, editore del quotidiano on-line, e rinviato il giudizio al tribunale territoriale che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dal legale rappresentante di una società di rappresentanza di dispositivi medicali che aveva – in primo grado – ottenuto la cancellazione della notizia giornalistica – escludendo la violazione del diritto all’oblio sulla base di tutta una serie di argomentazioni che comportano nello specifico un bilanciamento tra i diritti del singolo e quelli della collettività.

In particolare, il tribunale territoriale, non avrebbe accertato le seguenti circostanze:

  1. se l’intervallo di tempo intercorso, pari ad un anno ed otto mesi circa, tra l’avvenimento dei fatti oggetto di notizia giornalistica e l’iniziativa giudiziaria assunta dalla parte per ricorso depositato in primo grado, integrasse o meno il fattore tempo, presupposto del diritto all’oblio;
  2. non avrebbe provveduto ad un giudizio di bilanciamento tra i diritti in gioco, a previsione costituzionale e convenzionale, omettendo di verificare rispetto alla notizia giornalistica edita sul quotidiano on-line e di nuovo resa o mantenuta visibile sul web ad una consultazione dei motori di ricerca all’epoca dell’introduzione del giudizio, la ricorrenza del diritto all’oblio oppure di perduranti e prevalenti diritti di cronaca giudiziaria o di documentazione ed archiviazione;
  3. infine, in quest’ultima prospettiva, non avrebbe accertato i profili di applicabilità della misura della deindicizzazione della notizia dai motori generalisti quale rimedio sufficiente ed i profili di eventuale responsabilità dell’editore in proposito.

Avv. Sonia Arena

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