Una nuova tegola si è abbattuta sui sostenitori di quell’istituto che tutti abbiamo imparato a conoscere con l’acronimo PAS (Parental Alienation Syndrome), ossia l’allontanamento morale e materiale del figlio da un genitore, attraverso comportamenti tenuti da quello collocatario ed affidatario.
Ebbene, la suprema Corte di Cassazione con la ordinanza n. 13217 del 17 maggio 2021, ha accolto il ricorso proposto da una madre avverso il Decreto del 16 dicembre 2019 con il quale la Corte d’Appello di Venezia aveva disposto l’affido “super-esclusivo” della minore al padre, con regolamentazione del diritto di visita della madre, revocando, altresì, il contributo al mantenimento della minore posto a carico del padre.
La decisione della Corte territoriale si fondava sulle risultanze delle CTU espletate nel corso del giudizio di primo grado e nelle quali sarebbe emerso non solo un elevato grado di conflittualità della coppia, con difficoltà comunicative tra di loro, ma anche una grave carenza delle capacità genitoriali della madre. Si legge nella ordinanza in esame che dalla prima CTU risulta una scarsa flessibilità della madre ad accettare il ripristino delle relazioni tra padre e figlia e di voler tenere la figlia con sé, escludendo il padre, con ciò ponendosi in contrasto con quanto era stato suggerito durante la consulenza.
Il tutto sarebbe stato aggravato dalla elevata tensione tra i genitori anche in presenza della bambina, oltre che dalla influenza da parte della famiglia materna sulla donna, con prospettive dannose e rischiose.
Del che è seguita la necessità di collocare la minore presso il padre, ritenuto l’unico genitore in grado di offrire alla figlia il giusto equilibrio per una crescita serena.
Alle medesime conclusioni sono giunti i consulenti durante la seconda CTU, nella quale è stato suggerito appunto, l’affido “super-esclusivo” al padre, a fronte del comportamento della madre, che faceva supporre fosse affetta dalla c.d. Sindrome della madre-malevola, secondo cui la donna, pur mantenendo, apparentemente, un rapporto di accudimento, esercitava nei confronti del padre della bambina una condotta tale da impedirgli un normale rapporto affettuoso con la figlia, con lo scopo di escluderlo da ogni scelta che la riguardasse.
Tuttavia, i Giudici della Cassazione non hanno ritenuto corretta la decisione della Corte veneta, pur sottolineando che la questione dell’affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità.
Nell’accogliere il ricorso della donna, la Corte di Cassazione ha censurato in maniera categorica i fatti ascritti dalla Corte di Appello di Venezia, non ritenendoli gravi al punto da legittimare la decisione adottata (cfr. “In altri termini, il riferimento alla condotta tesa ad estraniare la figlia dal padre – sostanzialmente ricondotta alla cd. PAS, ovvero alla cd. “sindrome della madre malevola” – e la evidenziata conflittualità con l’ex-partner, non appaiono costituire fatti pregiudizievoli per la minore alla stregua della descrizione delle vicende occorse, tenuto comunque conto del controverso fondamento scientifico della sindrome PAS, cui le c.t.u. hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche”).
Gli Ermellini senza entrare nel merito della vicenda hanno, tuttavia sancito la prassi da seguire nei casi come quello in esame, evidenziando che “in materia di affidamento dei figli minori, è stato affermato che il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L’individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio, che potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonchè sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore)”
Inoltre, secondo i giudici di Piazza Cavour, la Corte territoriale avrebbe trascurato il profilo afferente alle conseguenze che avrebbe comportato per la minore il “super-affido” al padre, atteso che ciò avrebbe attenuato il rapporto con la madre, proprio durante una fase di crescita e sviluppo psico-fisico della figlia, escludendo, in tal modo che l’affidamento esclusivo della piccola al padre potesse garantire il miglior sviluppo della personalità della stessa, laddove i forti conflitti tra i genitori ed i limiti caratteriali della madre avrebbero dovuto essere affrontati e valutati come una occasione per migliorare i rapporti tra i genitori.
Secondo il giudizio della Corte di Cassazione, invece, le asprezze caratteriali della madre sono state valutate dai giudici di merito “in senso fortemente stigmatizzante” nonostante la mancanza di una prova circa la condotta di oggettiva trascuratezza o incuria verso la figlia.
Insomma, la Ordinanza in esame, che ha già ricevuto il plauso anche da parte del mondo politico impegnato negli affari del diritto di famiglia, è destinata certamente a far discutere, anche se ormai sembra essersi consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul NON utilizzo di questo istituto, come di altri aventi il medesimo “costrutto scientifico”, nelle nostre aule giudiziarie.
Avv. Francesca Muscarello