Con la Sentenza n. 11430 del 30 aprile 2021, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia di previdenza in favore degli iscritti alla Gestione separata INPS, con particolare riferimento al diritto all’indennità di fine rapporto riconosciuta dall’art. 19, d.l. n. 185/2008 (conv. con I. n. 2/2009), e succ.mod. e integraz., per i collaboratori in regime di c.d. monocommittenza.
Contraddicendo le statuizioni espresse in doppia conforme dai giudici di merito, la Sezione Lavoro ha affermato che, pur nell’assenza del versamento dei contributi di legge, è inapplicabile il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali di cui all’art. 2116, comma 1, c.c. per i soggetti titolari di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla Gestione separata INPS.
Questi ultimi, al pari dei lavoratori autonomi, sono gli unici titolari dal lato passivo dell’obbligo contributivo, restando irrilevante che, ai sensi dell’art. 1 del d.m. n. 281 del 1996 – emanato in attuazione della delega di cui all’art. 2, comma 30, I. n. 335/1995 – al pagamento di una quota dei contributi (relativi alla prestazione lavorativa resa) siano tenuti i committenti.
La disposizione regolamentare va interpretata, infatti, come recante una mera delegazione legale di pagamento con effetto liberatorio per il collaboratore per la quota di contributo rimasta a suo carico, diretta a semplificare le modalità di riscossione dei contributi, ma inidonea a mutare la titolarità del relativo rapporto contributivo.
Secondo la Corte, la posizione contributiva del collaboratore occasionale non può dirsi equiparabile a quella del lavoratore subordinato che, al contrario, resta del tutto estraneo al rapporto contributivo che si costituisce esclusivamente tra il datore di lavoro e l’ente previdenziale: solo il primo è responsabile del versamento del contributo, anche per la parte a carico del prestatore di lavoro. Diversamente, i lavoratori autonomi titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla Gestione separata sono personalmente obbligati al pagamento del contributo, quanto meno nella misura di un terzo della sua misura complessiva.
Lo strumento giuridico che consente al prestatore iscritto alla Gestione separata di rinunciare all’effetto liberatorio dell’accollo ex lege – di quella parte del contributo in capo al committente che sia rimasto inadempiente – e di costituire il rapporto previdenziale accedendo alle relative prestazioni, è rinvenibile, in base alla ricostruzione operata dai giudici di legittimità, nella disposizione di cui all’art. 1236 c.c.; precisamente nella parte in cui attribuisce alla dichiarazione del debitore di non voler profittare della remissione del debito l’effetto di impedire l’estinzione dell’obbligazione, ove sia comunicata al creditore «in un congruo termine».
Sicché, il collaboratore «in un congruo termine» (che va individuato nel termine di prescrizione dei contributi dovuti alla Gestione separata), ha la facoltà di dichiarare all’INPS di rinunciare all’effetto privativo dell’accollo ex lege disposto in suo favore dall’art. 2, comma 30, I. n. 335/1995, e assumere in proprio il debito relativo alla parte del contributo accollata al suo committente, salvo ovviamente rivalersi nei confronti di costui per i danni patiti.
Collaboratori in regime di c.d. monocommittenza e l’inapplicabilità del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali
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