In tema di vendita di beni di consumo si applica, innanzitutto, la disciplina del codice del consumo prevista dagli art. 128 e ss. in quanto la disciplina codicistica in materia di compravendita trova applicazione solo per quanto non viene regolamentato dalla normativa speciale.
Inoltre, per quanto concerne i difetti di conformità del bene venduto, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, si presume che essi siano già sussistenti a tale data.
Pertanto, è onere del consumatore allegare la sussistenza del vizio, gravando sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita. Superato il suddetto termine, trova nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’articolo 2697 c.c.
Ciò è quanto ha affermato la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13148 del 30 giugno 2020 (qui allegata).
Il Fatto e lo svolgimento del giudizio in sintesi.
Nel caso in esame, gli attori – acquirenti di una vettura usata – convenivano in giudizio la società venditrice esponendo di aver acquistato un’autovettura usata dalla società convenuta che, subito dopo l’acquisto, presentava gravi vizi occulti, regolarmente denunciati e non riparati.
In particolare, gli attori chiedevano il risarcimento dei danni consistiti nel rimborso delle spese sostenute per noleggiare un’auto sostitutiva, le somme spese per il ripristino del mezzo ed i danni subiti per il disagio.
Si costituiva la ditta deducendo che il veicolo era perfettamente funzionante al momento della consegna e che il vizio era stato causato da un uso anomalo del mezzo che aveva percorso un numero di chilometri superiore alla norma ed alla carente manutenzione.
Il Tribunale adito, all’esito del giudizio, rigettava la domanda attorea.
Tale sentenza veniva confermata dalla Corte d’Appello.
In particolare, la Corte di merito dava atto che i vizi lamentati si erano manifestati solo dopo tre mesi dalla consegna ed era stato accertato un utilizzo anomalo del veicolo. Era emerso inoltre che l’auto era stata accuratamente controllata prima della vendita ed era risultata perfettamente funzionante.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso uno degli attori sulla base di due motivi.
Le ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, si deduceva la violazione e falsa applicazione degli articoli 128, 129, 130, 132 e 135 del Codice del Consumo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito applicato alla fattispecie la normativa relativa al contratto di vendita e non il Codice del Consumo, con particolare riferimento all’articolo 130 del Codice del Consumo, che prevede la responsabilità del venditore in caso di difetto di conformità, erroneamente ritenendo che l’autovettura avesse subito un utilizzo anomalo.
Inoltre, secondo il ricorrente, vi sarebbe stata una violazione dell’articolo 132 del Codice del Consumo, che prevede una presunzione del difetto di conformità del bene, qualora i vizi si manifestino entro sei mesi dalla consegna mentre, nella specie, i vizi si sarebbero presentati tre mesi dopo la consegna, con conseguente inversione dell’onere della prova, in capo alla concessionaria, della loro insussistenza al momento della vendita.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato tale motivo.
Secondo gli Ermellini, infatti, l’articolo 135, comma 2, del codice del consumo stabilisce che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”; l’articolo 1469 bis c.c., introdotto dall’articolo 142 del codice del consumo, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo “Dei contratti in generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.
Sussistendo, così, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita): nel senso che si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (articoli 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile solo per quanto non previsto dalla normativa speciale (Cass. Civ. Sez. III, 30.5.2019, n. 14775).
Tuttavia, aggiunge la Corte, è necessario che sussistano i presupposti per l’applicazione del codice del consumo, secondo le categorie da esso predeterminate.
Pertanto, alle disposizioni civilistiche dettate agli articoli 1490 c.c. e segg., in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita si aggiungono, in una prospettiva di maggior tutela, gli strumenti predisposti dal codice del consumo.
Dal combinato disposto degli articoli 129 e segg. del summenzionato codice si desume una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene allorchè tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla predetta consegna.
Pertanto, il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all’articolo 130 cit., i quali sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà in primo luogo proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene e, solo in secondo luogo, nonchè alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto.
Resta fermo che, per poter usufruire dei diritti citati, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrente dalla data della scoperta di quest’ultimo.
Inoltre, il Codice del Consumo prevede una presunzione a favore del consumatore, inserita nell’articolo 132, comma 3, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, salvo che l’ipotesi in questione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.
Si tratta di presunzione iuris tantum, superabile attraverso una prova contraria, finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore: ne deriva che ove il difetto si manifesti entro tale termine, il consumatore gode di un’agevolazione probatoria, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio e gravando conseguentemente sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
Superato il suddetto termine, trova nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’articolo 2697 c.c.: ciò implica che il consumatore che agisce in giudizio sia tenuto a fornire la prova che il difetto fosse presente ab origine nel bene, poiché il vizio ben potrebbe qualificarsi come sopravvenuto e dipendere conseguentemente da cause del tutto indipendenti dalla non conformità del prodotto.
Corollario di questo principio e’ che il consumatore deve provare l’inesatto adempimento mentre e’ onere del venditore provare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Sez. 3, Ordinanza n. 21927 del 21/09/2017, Sez. 2, Sentenza n. 20110 del 02/09/2013 (Rv. 627467 – 01).
Tale quadro normativo, ha portato la giurisprudenza di legittimità a ritenere che la responsabilità da prodotto difettoso abbia natura presunta, e non oggettiva, poichè prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto.
Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato – ai sensi del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 120 (cd. codice del consumo), la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore – a norma dell’articolo 118 dello stesso codice – la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n. 29828; Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n. 29828).
D’altra parte e’ evidente che il venditore, a differenza del consumatore, può avvalersi più facilmente di mezzi organizzativi e delle competenze tecniche che consentono di effettuare la necessaria diagnosi del problema al fine di appurare l’esistenza del vizio.
Del resto, l’articolo 132 del Codice del Consumo deve essere letto in combinato disposto con la direttiva Europea n. 1999/44/CE sulle garanzie dei beni di consumo, di cui il Codice del consumo costituisce la legge di trasposizione in Italia.
La suddetta direttiva CE indica il nucleo essenziale dei diritti del consumatore e, rimarcando il principio di gratuità, stabilisce che “Il venditore e’ responsabile, a norma dell’articolo 3, quando il difetto di conformita’ si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene. Se, a norma della legislazione nazionale, i diritti previsti all’articolo 3, paragrafo 2, sono soggetti a prescrizione, questa non puo’ intervenire prima di due anni dalla data della consegna. 2. Gli Stati membri possono prevedere che grava sul consumatore, per esercitare i suoi diritti, l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformita’ entro il termine di due mesi dalla data in cui ha constatato siffatto difetto“.
Grava, quindi, sul consumatore il solo onere di denunciare il difetto di conformità, che è da considerarsi assolto nel momento in cui egli comunichi tempestivamente al venditore l’esistenza del difetto di conformità, non occorrendo che venga altresì fornita la prova di tale difetto, ne’ che venga indicata la causa precisa di tale difetto.
Infatti – precisano i Giudici di Piazza Cavour – risulterebbe troppo oneroso per il consumatore, in fase di presentazione della denuncia di non conformità del prodotto, assolvere l’onere probatorio mediante l’allegazione del vizio specifico da cui e’ affetto il prodotto, ciò che richiederebbe l’accesso a dati tecnici del prodotto nonche’ un’assistenza tecnica specializzata, che invece si trovano nella piu’ agevole disponibilita’ del venditore (e che a questi non sarebbe eccessivamente oneroso chiedere di apprestare in occasione della diagnosi della natura del difetto di conformità denunciato).
Peraltro, a conferma della propria decisione, i giudici di legittimità, richiamano richiamano una sentenza della Corte di giustizia 4 giugno 2015, causa c-497/13 (nota come il caso Faber), in cui i giudici di Lussemburgo (cfr. punti 62 e 63) ricordano “come emerge dalla formulazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44, letto in combinato disposto con il suo considerando 19, e dalla finalità perseguita da tale disposizione, l’onere fatto gravare in tal modo sul consumatore non può spingersi oltre quello consistente nel denunciare al venditore l’esistenza di un difetto di conformità.
Quanto al contenuto di tale informazione, in questa fase non si puo’ esigere che il consumatore produca la prova che effettivamente un difetto di conformita’ colpisce il bene che ha acquistato. Tenuto conto dell’inferiorità in cui egli versa rispetto al venditore per quanto riguarda le informazioni sulle qualità di tale bene e sullo stato in cui esso e’ stato venduto, il consumatore non può neppure essere obbligato ad indicare la causa precisa di detto difetto di conformità.
Per contro, affinche’ l’informazione possa essere utile per il venditore, essa dovrebbe contenere una serie di indicazioni, il cui grado di precisione varierà inevitabilmente in funzione delle circostanze specifiche di ciascun caso di specie, vertenti sulla natura del bene in oggetto, sul tenore del corrispondente contratto di vendita e sulle concrete manifestazioni del difetto di conformità lamentato”.
Pertanto, nel caso di specie, secondo gli Ermellini, la corte di merito aveva erroneamente applicato le norme civilistiche in materia di vendita e non la disciplina relativa ai contratti di consumo, pur risultando dalla sentenza impugnata che l’autovettura era stata alienata da un operatore commerciale, una concessionaria di rivendita di autovetture usate, ad una persona fisica, che l’aveva acquistata per ragioni personali.
Era, quindi applicabile il codice del consumo, con particolare riferimento al regime probatorio agevolato in favore del consumatore.
Pertanto, secondo la Corte, la corte di merito avrebbe dovuto accertare se il vizio fosse stato denunciato entro due mesi dalla scoperta del vizio e, trattandosi di vizio che si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore, a meno che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.
Il motivo di gravame è stato, pertanto, accolto dai giudici di legittimità e, conseguentemente, la sentenza impugnata è stata cassata e rinviata, innanzi alla Corte d’appello territorialmente competente, la quale dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto:
1 – “In tema di vendita di beni di consumo, si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (articoli 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile in materia di compravendita solo per quanto non previsto dalla normativa speciale, attesa la chiara preferenza del legislatore per la normativa speciale ed il conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica“;
2 – “Si presume che i difetti di conformita’, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti gia’ a tale data, sicche’ e’ onere del consumatore allegare la sussistenza del vizio, gravando sulla controparte l’onere di provare la conformita’ del bene consegnato rispetto al contratto di vendita. Superato il suddetto termine, trova nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’articolo 2697 c.c.“
Infine, il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduceva l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione alla natura del vizio che l’autovettura presentava sin dal momento della consegna è stato dichiarato assorbito.
Conclusioni
Pertanto, si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data ed è posto in capo al consumatore l’onere di allegare la sussistenza del vizio, mentre grava sulla controparte – venditore del bene – l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
Entro tale termine si applica la disciplina del codice del consumo prevista dagli art. 128 e ss., mentre – una volta superato il suddetto termine – troverà nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’articolo 2697 c.c.
Avv. Sonia Arena