L’ordinanza della Cassazione del 26 maggio 2020, n. 9887 chiarisce in maniera puntuale che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, rinvenibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute.
Nel caso in cui un’operazione abbia avuto effetti nocivi, si verte nel campo della responsabilità professionale del sanitario e/o della struttura qualora ricorra quanto meno la colpa dei sanitari.
A fronte di una operazione con esiti dannosi che non erano stati adeguatamente illustrati ma condotta secondo parametri ordinari, il risarcimento sarà possibile solo se il paziente dimostri che – se avesse conosciuto il rischio – non si sarebbe operato.
Tale tipo di prova, giova chiosare in sede di commento, può rivelarsi davvero diabolica, visto che il paziente non adeguatamente informato solitamente non esprime valutazioni ipotetiche rispetto ad un possibile esito infausto dell’intervento, per cui l’informativa del medico serve proprio a stimolare tali riflessioni.
A parere di chi scrive, sarebbe preferibile non arroccarsi su posizioni predefinite (danno in re ipsa/onere della prova a carico del paziente) ma accertare caso per caso se – a seguito di una informativa corretta e naturalmente nel caso di interventi evitabili o rinviabili – è verosimile ritenere che una persona ordinaria avrebbe evitato l’intervento.
Avv. Sandro Campilongo