La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 2 aprile 2020, causa C-329/19 (qui allegata) si è pronunciata in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 1 paragrafo 1 e dell’art. 2, lettera b) della direttiva 93/13/CEE, dettata in tema di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori e, in particolare, è intervenuta al fine di sciogliere i nodi interpretativi sulla possibilità di includere il condominio tra i soggetti destinatari delle regole a tutela della parte debole del contratto.
In particolare, si è chiesto alla Corte di valutare se anche il condominio di diritto italiano può considerarsi consumatore nell’accezione fornita dalla suddetta direttiva, che qualifica come tale la persona fisica che agisce per fini non riconducibili all’attività professionale svolta.
La Corte giunge a dare una risposta negativa al quesito in quanto si tratta di un ente oggettivamente privo di “fisicità”, dunque non affatto riconducibile alla definizione predetta.
Con la sentenza in commento, tuttavia, i giudici UE hanno stabilito che uno Stato membro – allargando il perimetro di applicazione dell’atto UE – potrà decidere di applicare le regole a tutela dei consumatori anche al condominio, pur non potendosi qualificare come un consumatore – a differenza del singolo condomino – in base alla direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
Nel caso di specie, il Tribunale di Milano si è rivolto alla Corte di Giustizia Europea al fine di dirimere una questione pregiudiziale sorta dalla controversia tra un condominio ed una S.p.a. e relativa ad un contratto di fornitura di energia termica intercorso tra i due.
La società intimava al condominio, mediante precetto, il pagamento di interessi moratori su un debito scaduto, nella misura prevista da specifica clausola contrattuale.
Il condominio resisteva proponendo opposizione ed invocava la propria qualifica di consumatore, ai sensi della direttiva 93/13 (recepita con il decreto legislativo 206/2005 contenente il Codice del consumo), modificata dalla 2011/83 sui diritti dei consumatori, considerando abusiva, quindi, la clausola sugli interessi di mora.
La Corte di giustizia, innanzitutto, ha precisato che il condominio non è una persona fisica: manca, quindi, un requisito essenziale per applicare la direttiva.
Di conseguenza, osserva la Corte, “il contratto stipulato tra il condominio e un professionista è escluso dall’ambito di applicazione della suddetta direttiva”.
La Corte Europea, dunque, fa prevalere l’aspetto formale su quello sostanziale, senza alcuna valutazione in merito alla circostanza che il contratto di fornitura di energia potesse servire per le singole abitazioni dei condomini.
Per la Corte, invece, se il contratto fosse stato concluso non dal condominio in quanto tale e, quindi, dall’amministratore in quanto rappresentante, ma dai singoli condomini, la tutela dei consumatori sarebbe stata applicabile in base alla direttiva. Conformemente a quanto già affermato dalla stessa Corte con la sentenza del 5 dicembre 2019, cause C-708/17 e C-725/17.
Tuttavia, la Corte Europea ha altresì affermato che “ai sensi dell’articolo 169, paragrafo 4, TFUE, gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure di tutela dei consumatori più rigorose, a condizione che esse siano compatibili con i trattati”.
Infatti, la direttiva 93/13 procede solo ad un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive, lasciando agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle contenute nella medesima direttiva.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 8 della predetta direttiva, gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore da essa disciplinato, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore.
La stessa direttiva chiarisce, inoltre, che gli Stati possono mantenere o introdurre una legislazione nazionale corrispondente alla direttiva, o ad alcune delle sue disposizioni, potendo addirittura arrivare ad estenderne l’applicazione anche a persone giuridiche o persone fisiche che la stessa non qualifica “consumatori”, quali le organizzazioni non governative, le start-up o le piccole e medie imprese.
Ne consegue che, anche se una persona giuridica, quale il condominio, non rientra nella nozione di “consumatore” ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, gli Stati membri possono applicare disposizioni di tale direttiva a settori che esulano dall’ambito di applicazione della stessa, a condizione che una siffatta interpretazione da parte dei giudici nazionali garantisca un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati.
In conclusione, le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva.
Avv. Sonia Arena