All’indomani della pubblicazione del decreto legge 17 marzo 2020 “Cura Italia”, la maggior parte dei commenti escludeva l’applicabilità della moratoria dei pagamenti prevista in favore delle PMI dall’art. 56, co. 2 anche al popolo delle partite IVA, lavoratori autonomi e professionisti.
Ne sono seguite numerose proposte di modifica del testo, al fine di includervi anche le categorie che non avrebbero potuto accedere alle significative forme di tutela approntate per fronteggiare i primi mesi dell’emergenza.
Nello specifico, il testo dell’art. 56, co. 2 prevede che:
2. Al fine di sostenere le attività imprenditoriali danneggiate dall’epidemia di COVID-19 le Imprese, come definite al comma 5, possono avvalersi dietro comunicazione – in relazione alle esposizioni debitorie nei confronti di banche, di intermediari finanziari previsti dall’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (Testo unico bancario) e degli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in Italia – delle seguenti misure di sostegno finanziario:
a) per le aperture di credito a revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, a quella di pubblicazione del presente decreto, gli importi accordati, sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata, non possono essere revocati in tutto o in parte fino al 30 settembre 2020;
b) per i prestiti non rateali con scadenza contrattuale prima del 30 settembre 2020 i contratti sono prorogati, unitamente ai rispettivi elementi accessori e senza alcuna formalità, fino al 30 settembre 2020 alle medesime condizioni;
c) per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 è sospeso sino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti; è facoltà delle imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale.
Il MISE con nota del 22 marzo 2020 ha infine chiarito che le norme sopra riportate sono applicabili alle partite IVA, assimilate alle micro imprese, ai professionisti ed alle ditte individuali.
Tale precisazione è quanto mai opportuna e, a parere di chi scrive, addirittura obbligata.
Infatti, l’inclusione delle partite IVA nelle misure di tutela previste non richiede alcuna modifica normativa, ma deriva dall’interpretazione sistematica delle norme richiamate nell’art. 56.
Infatti, l’art. 56, co. 5 prevede “5. Ai fini del presente articolo, si intendono per Imprese le microimprese e le piccole e medie imprese come definite dalla Raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003, aventi sede in Italia“.
Va evidenziato che tale Raccomandazione prevede una definizione di impresa che si attaglia anche all’attività dei professionisti in quanto soggetti che svolgono un’attività economica in forma individuale.
Infatti, l’art. 1 dell’Allegato I alla Raccomandazione prevede che “Si considera impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica.
Inoltre, l’art. 2 dell’Allegato I alla Raccomandazione fissa i limiti dimensionali delle PMI, prevendendo che:
“1. La categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.
2. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR.
3. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR“.
Già sulla base di tali definizioni, l’esclusione delle partite IVA dall’ambito di applicazione dell’art. 56 appariva incongruente.
Peraltro, la legge di Stabilità 2016 (art. 1, comma 821, L n. 28/2015) aveva già equiparato i liberi professionisti alle PMI ai fini dell’accesso ad alcuni tipi di finanziamenti comunitari (es. Piani operativi POR e PON del Fondo sociale europeo (FSE) e del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).
Infine, a conferma dell’interpretazione maggiormente estensiva ed inclusiva dell’art. 56, va considerato che con DM MISE del 12 febbraio 2019 è stato riformato il Fondo di Garanzia per le PMI e che i professionisti sono ora espressamente menzionati accanto alle PMI tra i soggetti beneficiari finali della garanzia.
Infatti, l’art. 1, n. 72 delle relative Disposizioni Operative allegate dal DM definisce i “Soggetti beneficiari finali”, come “le PMI, i Consorzi e i Professionisti ubicati (aventi sede legale ovvero sede operativa) sul territorio italiano“.
Poiché vi è una sorta di specularità nel Decreto tra i benefici della sospensione dei pagamenti e la possibilità che tale beneficio sia garantito dal Fondo, non sarebbe stato coerente escludere dalla sospensione dei pagamenti i professionisti, che pure normalmente ed al di fuori dell’emergenza sono già equiparati alle PMI quali beneficiari della garanzia del Fondo.
Pertanto, l’interpretazione maggiormente aderente alla ratio della normativa emergenziale e confermata da numerosi elementi sistematici porta ad includere le partite IVa i lavoratori autonomi ed i professionisti tra i soggetti beneficiari delle misure previste dall’art. 56, co. 2 del Decreto Cura Italia e bene ha fatto, infine, il MISE a riconoscerlo.
Avv. Emanuele Nati